Caso Palamara: 67 magistrati chiedono una Commissione d'inchiesta
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Sono passati due mesi da quando avevano scritto a Luca Palamara per chiedergli di inviare a tutti i colleghi le sue chat, visto che l’Anm non riusciva ancora a entrarne in possesso. E oggi chiedono una commissione d’inchiesta sul caso Palamara.

Ora si rivolgono al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per sollecitarlo a promuovere il sistema del sorteggio per eleggere il Csm e una commissione d’inchiesta, perché “lo scandalo continua e solo pochi hanno fatto un passo indietro”. 

I 67 magistrati che sottoscrivono il testo, tra cui le quattro toghe

Andrea Reale, Giuliano Castiglia, Isa Moretti, Maria Angioni – sono elette all’Anm per Articolo Centouno, gruppo movimentista che ha incassato 737 voti, ma è rimasto fuori dall’accordo che ha portato all’elezione della giunta tra le altre quattro correnti. Un gruppo che però sta dando filo da torcere a chi governa l’Anm e al presidente Giuseppe Santalucia, soprattutto utilizzando il sistema delle lettere aperte che coinvolgono i colleghi.

Tra i sottoscrittori del testo spicca, oltre alle quattro toghe di Articolo Centouno, l’ex gip di Milano, e ora a Roma, Clementina Forleo, Gabriella Nuzzi, ex pm di Salerno che si occupò del caso De Magistris e finì sotto azione disciplinare al Csm, Guido Salvini di Milano, famoso per il processo di piazza Fontana, l’ex pm di Catania Felice Lima, protagonista di frequentissime polemiche sulle liste delle toghe, tanto da essere allontanato da quella dell’Anm, Andrea Mirenda, giudice di sorveglianza a Verona, anche lui fustigatore dei colleghi con molte uscite pubbliche, e ancora Milena Balsamo toga della Cassazione, Francesco Bretone pm a Bari, Desireé Digeronimo, ex pm di Bari e oggi a Roma. Nell’insieme un gruppo di toghe che ha sempre contestato il sistema delle correnti e che, adesso, dopo il caso Palamara ha ulteriormente inasprito i suoi giudizi e le sue iniziative. 

Le stesse richieste contenute oggi nella lettera sono state oggetto di numerosi interventi durante le riunioni dell’Anm.

Nella lettera i 67 magistrati scrivono che “lo scandalo continua a imperversare e, lungi dal placarsi, è costantemente alimentato dall’uscita di nuove e allarmanti notizie che rendono il quadro complessivo sempre più inquietante e inaccettabile”. Scrivono anche che “si avverte una profonda contraddizione rispetto all’esigenza di trasparenza e completa conoscenza di quanto risultante dagli atti. Ufficialmente, essi sono confinati nelle mani di poche autorità; di fatto, però, sono nella disponibilità di tantissimi, a cominciare dai media. Così, in questo contesto delicatissimo, il rischio di un loro uso strumentale e distorto, condizionato da convenienze e scopi particolari, è straordinariamente grave”.

I 67 lamentano “una diffusa inerzia rispetto a iniziative che sarebbero tanto naturali quanto doverose”.

E polemizzano con chi è rimasto al suo posto scrivendo che “solo una parte, pur significativa ma certamente non completa, ha liberato l’istituzione che rappresentava dal peso di una situazione divenuta oggettivamente insostenibile, facendo un passo indietro, con le dimissioni da taluni incarichi ricoperti o con l’anticipato abbandono dell’ordine giudiziario”.

All’opposto ci sarebbe stata “l’adozione di una generale direttiva assolutoria, col conseguente rischio che comportamenti di tale genere, anziché essere sanzionati, siano avallati e ulteriormente incentivati”. Senza farne il nome, i 67 polemizzano con il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, per via delle sue linee guida per l’analisi delle chat del 22 giugno 2020. Linee sulle quali il gruppo Articolo Centouno ha lungamente polemizzato in sede di Anm. E scrivono che “comportamenti di questo tipo sarebbero stati realizzati da chi, nominato proprio in nome di una forte discontinuità con il comportamento del suo predecessore costretto alle dimissioni (l’ex Pg Riccardo Fuzio, ndr.), avendo il compito istituzionale di curare l’interesse pubblico al rispetto della disciplina da parte degli appartenenti all’ordine giudiziario, ha adottato siffatta generale direttiva”.

Per questo chi sottoscrive il documento chiede il varo di una commissione parlamentare di inchiesta “volta a fare definitiva chiarezza”.

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