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I giudici italiani gli avevano contestato un reato “non sufficientemente chiaro”. Dopo avergli distrutto la vita, ora chi paga? Antonio Del Furbo

Ancora una bacchettata sulle mani ai giudici italiani da parte dell’Europa. Ancora una volta la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo si è pronunciata sul caso di Bruno Contrada, ex numero due del Sisde perseguitato e stritolato dalla giustizia italiana e accusato di “concorso esterno in associazione di stampo mafioso”. Già nel 2014 la stessa corte aveva condannato l’Italia per aver detenuto un uomo in carcere nonostante le sue condizioni di salute non lo permettessero. Allora fu violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. In soldoni lo Stato fu condannato a 10mila euro per danni morali e 5mila per le spese processuali. Con la sentenza di oggi l’Italia deve risarcire Contrada di 10mila euro e 2.500 euro di spese processuali. 

Oggi la Corte di Strasburgo dice che per quei fatti avvenuti tra il 1979 e il 1988, Contrada:“non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per gli atti compiuti”. Insomma, il reato “non era chiaro” e non doveva assolutamente essere condannato. Non solo: non doveva essere nemmeno processato proprio perché la fattispecie di reato in questione è il risultato di un iter giurisprudenziale avviato verso la fine degli anni 80 e consolidato nel 1994: Contrada, incriminato per fatti che risalgono al periodo compreso tra il 1979 e il 1988, non poteva ragionevolmente prevedere di compiere il reato”.

Per questo motivo l’Italia ha violato l’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che dice chiaramente che:“nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che al momento in cui è stata commessa non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”.

“Un uomo la cui vita è stata devastata da 23 anni, dal 1992 ad oggi: ho subito sofferenza, dolore, umiliazione e devastazione della mia esistenza e della mia famiglia. Si può immaginare ed è intuibile qual è il mio stato d’animo in questo momento. Poco fa ho sentito il mio avvocato che mi ha comunicato la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo. Aspetto di leggere la sentenza per rendermi conto di cosa dice e per quale motivo è stato accolto il mio ricorso”. Sono le parole di Contrada appena appresa la notizia della sentenza.

Per quell’arresto alla vigilia di Natale del 1992, per il giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, per la condanna a 10 anni di carcere, per l’assoluzione in Corte d’appello, per la nuova condanna a 10 anni nel 2006, per il carcere, per il dolore della famiglia e per una vita distrutta, ora, chi paga?

 

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