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Matteo Garrone i film non li scrive, li “dipinge” con quella sua aria un po’ svagata, tra il malizioso e il divertito, usando anche le facce della strada. Ma a far questo può capitare di tutto, anche di essere accusati di pagare il pizzo alla camorra, come gli è successo sul set di Gomorra e come ha raccontato in occasione dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, nello spazio della Libreria del Cinema dedicato agli incontri con il pubblico.

Matteo Garrone i film non li scrive, li “dipinge” con quella sua aria un po’ svagata, tra il malizioso e il divertito, usando anche le facce della strada. Ma a far questo può capitare di tutto, anche di essere accusati di pagare il pizzo alla camorra, come gli è successo sul set di Gomorra e come ha raccontato in occasione dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, nello spazio della Libreria del Cinema dedicato agli incontri con il pubblico. Il regista romano si è soffermato a ricordare i suoi esordi di pittore, attività svolta sino a 17 anni fa, quando ha iniziato a fare cinema. Dal suo primo cortometraggio in 16 mm Silhouette, che ha vinto nel 2006 il festival Sacher di Moretti, a Terra di mezzo, L’imbalsamatore, Gomorra e Reality, le sue vigorose pennellate continuano a dar vita a personaggi fortemente caratterizzati. “Non ricordo mai le battute della sceneggiatura – ha raccontato ai presenti – perché fin da subito la metto da parte, comincio a lavorare in sequenza e creare le scene sul momento, il mio è un lavoro artigianale perchè costruisco man mano il film sul campo insieme ai miei collaboratori, restando però fedele al progetto di fondo”. Per questo suo modo di procedere Garrone ama lasciarsi ispirare dagli attori, e sceglierne con cura i volti. Non sempre questi appartengono ad attori professionisti, come è successo anche per il film Gomorra, dove ha voluto mescolare assieme professionisti esperti come Tony Servillo e Gianfelice Imparato, con attori di compagnie amatoriali di Scampia, e veri e propri debuttanti, come il boss camorrista Giovanni Venosa, nella parte di se stesso, oggi condannato a più di 13 anni di reclusione per estorsione “aggravata dal metodo mafioso”

UN TALENTO NATURALE

“Le facce parlano da sole, e poiché in Gomorra c’è anche una forte valenza antropologica, ho scelto, per alcuni piccoli ruoli, degli attori ‘non attori’ che erano legati al sistema e che poi sono anche stati arrestati, ma che avevano un talento naturale”, racconta Garrone a chi gli chiede le ragioni della sua  predisposizione all’uso di attori non professionisti. E prosegue rivelando i dettagli del suo incontro con il malavitoso, legato al clan dei casalesi. “Quando ho incontrato il vero boss  ho capito che era un attore mancato. Lui sapeva a memoria tutti i film di Thomas Milian, le parti del “Monnezza”, aveva un repertorio infinito di canzoni napoletane. Chiaramente è cresciuto in una famiglia criminale e si è ritrovato a prendere il potere in mano da giovane, diventando il boss della sua zona”. Continua Garrone: “Io, in maniera anche abbastanza istintiva, e forse anche furba, l’ho scritturato per fare il ruolo del boss. Coinvolgendolo gli ho anche impedito di chiedermi il pizzo o altro”. Ma l’aspetto più bizzarro e divertente di questa storia, racconta il regista, è che il boss voleva “a tutti i costi” essere lui a uccidere Marco e Ciro, i due giovani balordi insofferenti all’autorità del clan,alla fine del film. “Marco e Ciro, a loro volta – aggiunge Garrone – non sapevano neanche che poi sarebbero stati ammazzati. Io giro in sequenza e non avevo detto niente neanche a loro, perché volevo che recitassero tutto il racconto con quella arroganza, quella incoscienza di chi pensa di farcela. C’è voluta una lunga trattativa per convincerli che era un bene che morissero”. 

VOLEVA UCCIDERE CIRO E MARCO

E a questo punto si verifica il colpo di scena, interamente ripreso nelle riprese di backstage allegate al dvd del film, nelle quali, dice Garrone, “credo di essere riuscito a far vedere, come credo in nessun film, neanche in Gomorra, qual è la vera natura, infantile e anche brutale, violenta, del vero camorrista”. E racconta come è andata: “Eravamo pronti a girare la scena dell’agguato. Io, per non offendere il vero boss, non l’avevo chiamato per uccidere i due ragazzi. Pensavo che sminuisse la sua figura. Quindi, mentre ci apprestavamo a girare la scena dell’agguato, aspettando che calasse un po’ il sole, qualcuno è andato a riferire al vero boss che stavamo per girare la scena senza di lui. A quel punto lui è piombato sul set, su tutte le furie, offeso e dicendo che avrebbe bloccato il film e che mi avrebbe restituito i soldi che gli avevo dato, se non gli facevo uccidere i due ragazzi”. Per questa frase, spiega Garrone, “sono stato inquisito a Napoli dal magistrato, perché pensava che io avessi pagato il pizzo. Ma i soldi che il boss-attore aveva preso, e che minacciava di restituirmi, erano quelli delle prime pose che lui aveva fatto all’inizio del film. Era un’accusa assurda! A parte che il pizzo non l’avevo pagato, ma anche se l’avessi pagato vi pare che io avrei poi messo tutta la scena, compresa la sua minaccia di restituirmi i soldi nelle immagini di backstage del film, allegate e pubblicate assieme al dvd?”. Guai del mestiere, ma Garrone non ha avuto mai paura durante il film, come spiega: “Forse ero un po’ preoccupato prima, mentre scrivevo la sceneggiatura con Saviano, ma quando entri dentro e conosci le persone e le regole di quel mondo non hai più paura. Cercavo di usare il più possibile i personaggi legati a quella realtà e a non farmi usare da loro. Io in questo penso di essere stato onesto, sono convinto che questa fosse la strada più giusta, anche se poi sono stato attaccato per questo. Penso che sia molto più onesto usare dei criminali a volte, anche veri, ma raccontarli con uno sguardo distaccato, senza in qualche modo cercare di renderli affascinanti, creando così un rapporto con il pubblico, piuttosto che prendere degli attori, fargli fare la parte del criminale e creare un’atmosfera glamour di identificazione”. Proprio come un pittore espressionista, Matteo crea con il pennello i suoi mondi, e senza interruzione realtà e finzione convivono in una realtà altra, un po’ mostruosa, che vive  anche fuori dalla sala. E finisce anche dietro le sbarre, quelle vere.

Elle Driver

 

 

 

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