Covid, azienda chiede rateizzazione e l'Inps invia cartella con il 25% d'interessi. L'imprenditore rischia il carcere
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L’impresa rimasta indietro di qualche mese – causa Covid – con il versamento dei contributi ha chiesto, in vista della ripresa dell’attività e degli introiti, la rateizzazione per risanare il debito con lo Stato. Ma la burocrazia uccide in maniera definitiva l’imprenditore.

“Le comunico che la domanda di rateazione è stata accolta autorizzando l’estinzione del seguente
debito in 24 rate mensili”.
Così l’Istituto nazionale di previdenza sociale di Chieti comunica al contribuente la lieta notizia. Ben presto, però, l’imprenditore si rende conto dell’ulteriore esborso che dovrà sostenere per far fronte al suo impegno post-Covid.

Il debito

Partendo da un debito accumulato in piena pandemia poco superiore a 50mila euro, l’imprenditore dovrà sborsare oltre 60mila euro. Conti alla mano, dunque, per regolarizzare la propria posizione contributiva l’impresa dovrà far pervenire ogni mese sul conto dell’Istituto guidato da Pasquale Tridico poco meno di 2600 euro mensili per 2 anni.

Gli interessi

Sempre con la calcolatrice alla mano scopriamo che, secondo i burocrati dell’Inps, l’imprenditore dovrà pagare un interesse mensili del 25%. La somma include quasi 7mila euro di “sanzioni civili” e “3500 euro di interessi di dilazione”.

Dunque, su un debito accumulato – per causa Covid – di 50mila euro lo Stato chiede oltre 10mila euro.

E non è finita qui.

L’ente previdenziale, infatti, comunica al contribuente che la domanda di accoglimento non esonera l’Istituto a “di provvedere alla denuncia all’Autorità Giudiziaria della fattispecie di reato di cui all’art.2 della legge n. 638/1983, come modificato dall’art.1 del D. Lgs. n.211/1994.”

Dunque, il datore di lavoro – a questo punto – è punibile con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad € 1.032,91, “prevedendo l’esclusione della punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.

Insomma, il datore di lavoro, in piena crisi e con un fatturato sceso del 43%, ha pagato i dipendenti, le utenze e la merce lasciando indietro i contributi. E nel momento in cui può mettersi in regola viene sanzionata civilmente e su cui l’INPS può avere anche discrezionalità sulla decisione. Impresa che ha ricevuto un contributo Covid di soli 18mila euro e che lo Stato gli richiede indietro con gli interessi.

“Andrà tutto bene” si diceva in tempo di Covid. Di certo non per le imprese italiane.

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