Ergastolo ostativo: lo Stato cede. I boss che non collaborano possono essere liberati
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L’avvocatura dello Stato, che rappresenta il governo, apre alla possibilità di concedere la libertà condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo. Si tratta di boss che non hanno collaborato con la giustizia.

E nel farlo l’avvocatura cambia praticamente la sua posizione durante l’udienza pubblica davanti alla corte Costituzionale: non ha chiesto più di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione. In pratica non chiede di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura (ergastolo ostativo).

L’avvocatura ha invitato la Consulta a emettere una sentenza che in gergo si chiama interpretativa di rigetto: la corte non dichiara incostituzionale la norma sull’ergastolo ostativo, ma riconosce al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione caso per caso. In parole semplici vuol dire che se il giudice vuole può concedere la libertà vigilata anche ai boss irriducibili, quelli che custodiscono i segreti delle stragi, a patto che abbiano scontato 26 anni di carcere. E senza che abbiano mai manifestato alcuna intenzione di collaborare con la giustizia.

Per Di Matteo non c’è più lotta alla mafia

Oggi sarebbe dovuto arrivare il verdetto della Consulta ma è stato rinviato a dopo Pasqua. “La discussione sulle questioni di legittimità costituzionale proseguirà anche nella prossima settimana di lavori”, si legge sul sito della corte. Il che vuol dire che la pronuncia arriverà dopo Pasqua visto che la prossima settimana di lavori coincide con il periodo successivo alle festività. Ma la posizione dell’avvocatura dello Stato provoca il commento del giudice Antonino Di Matteo, esperto investigatore antimafia oggi eletto come consigliere togato del Csm. “Poco alla volta, nel silenzio generale, si stanno realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone“, dice il magistrato, interpellato dal fattoquotidiano.it.

Un’eventuale sentenza di accoglimento della Consulta, infatti, aprirebbe la strada di fatto alla possibile abolizione dell’ergastolo, cioè uno dei punti inseriti nel papello di Totò Riina, la lista di richieste allo Stato per fermare le stragi del 1992 e 1994.

“Così si realizzano obiettivi delle stragi”

Al cosiddetto “carcere impermiabile” inventato per i boss delle stragi, dunque, rischia di arrivare un’altra picconata. Possibile anche grazie al cambio di linea dell’avvocatura dello Stato, visto che inizialmente aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l’infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione. Nell’udienza pubblica di ieri, invece, l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia ha consigliato alla corte un’altra ipotesi: una sentenza interpretativa della Consulta di rigetto che “assicuri uno spazio discrezionale” al giudice di sorveglianza permettendogli di andare al fondo delle ragioni per cui l’ergastolano non collabora. “Il Giudice di sorveglianza deve verificare in concreto quali sono le ragioni che non consentono di realizzare quella condotta collaborativa nei termini auspicati dallo stesso giudice”, ha affermato Figliolia, chiedendo ai giudici “una interpretazione costituzionalmente orientata di queste norme potrebbe consentire di procedere ad una esegesi della normativa”.

Per l’avvocato dello Stato “il Governo non può non tenere in debita considerazione sia i principi evocati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019, che della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Viola, del 13 giugno 2019. Questi principi debbono essere adeguatamente sfruttati, soppesati, calibrati rispetto a quelle che sono le peculiarità della liberazione condizionale, peculiarità che sono evincibili dalla lettura dell’articolo 177 del codice penale”.

Il riferimento è per la sentenza della Consulta che aveva aperto alla concessione dei permessi premio per i condannati irriducibili, e per quella della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva chiesto all’Italia di riscrivere completamente la norma sull’ergastolo ostativo. L’avvocato dello Stato ha chiesto alla Consulta di far “decantare ogni forma di automatismo”, ma di assicurare “uno spazio discrezionale al magistrato decidente in termini di verificare in concreto le motivazioni su quella mancata collaborazione che è condizione per ottenere il beneficio”.

Il caso al centro dell’udienza

All’udienza pubblica si è arrivati dopo che la Cassazione ha sollevato eccezione di costituzionalità esprimendosi sul caso di Salvatore Francesco Pezzino, mafioso di Partinico, in provincia di Palermo. Condannato per mafia e omicidio, ha trascorso in totale 30 anni in carcere: nel 1999 aveva ottenuto la semilibertà, salvo poi perderla nel 2000 quando era finito sotto accusa di nuovo per altri reati.

Considerato un “detenuto modello“, nel 2018 Pezzino ha chiesto al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila di riconoscergli la libertà condizionale, prevista per tutti i detenuti che hanno scontato 26 anni di carcere, salvo, appunto, quelli condannati per reati di mafia che non hanno collaborato con la giustizia. Un divieto previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, e dal decreto legge 306 del 1992, ispirato da Giovanni Falcone. Sull’articolo 4-bis, negli ultimi tempi si sono aperti due crepe: quello rappresentato dalla sentenza della Cedu che lo ha bocciato in toto – chiedendo all’Italia di riscriverlo – e la sentenza sui permessi premio della stessa Consulta del 2019.

“No a fine pena mai”

“Non è possibile pensare di buttare la chiave per alcune tipologia di detenuti. Farlo sarebbe una resa dello Stato”, ha detto invece l’avvocata Giovanna Beatrice Araniti, legale di Pezzino, l’uomo al centro del caso che ha portato la Cassazione a sollevare la questione di costituzionalità. “È arrivato a oltre 30 anni di carcere”, racconta l’avvocata, ma proprio perché non collabora “si ritrova a non poter avere una valutazione dei suoi progressi da parte del tribunale di sorveglianza”.

L’udienza pubblica alla Consulta

Giudice relatore della sentenza è Nicolò Zanon. Eletto al Csm nel 2010 su indicazione del Popolo delle Libertà, poi nominato alla Consulta da Giorgio Napolitano, Zanon ha fatto da relatore anche alla sentenza che nell’ottobre del 2019 definiva incostituzionale la parte dell’articolo 4bis sul divieto di accesso ai permessi premio, cioè il primo gradino dei benefici penitenziari, per i condannati all’ergastolo ostativo che non hanno collaborato con la magistratura.

I detenuti che attendono la sentenza

Ad attendere la decisione della Consulta sono soprattutto 1.271 detenuti al “fine pena mai” che vorrebbero accedere alla libertà condizionale pur non collaborando con la giustizia. Tra questi ci sono sicuramente i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, i boss che custodiscono i segreti delle stragi del ’92 e ’93. Condannati all’ergastolo per le bombe che uccisero Falcone e Borsellino, per gli ordigni esplosi nel 1993 a Roma, Milano e Firenze, per l’omicidio del sacerdote don Pino Puglisi, si trovano in carcere dal 1994 ma sono ancora relativamente giovani: Filippo 59, Giuseppe 56. “Lui ha ancora una speranza“, ha detto recentemente – riferendosi al secondo – Salvatore Baiardo, l’uomo che ha curato la latitanza dei Graviano nel Nord Italia nei primi anni ’90. “Che speranza?”, ha chiesto l’inviato della trasmissione Report. “Che l’ergastolo venga abrogato. Quella è ancora l’unica sua speranza”, è stata la risposta di Baiardo.

Falcone

“Consentire a un mafioso ergastolano che non abbia mai intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia di godere di permessi premio sarebbe un clamoroso arretramento nella lotta a Cosa nostra“. È il commento di Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso a Capaci e presidente della Fondazione che del giudice porta il nome, che interviene sulla questione dell’ergastolo ostativo per i mafiosi.

“Nella nostra legislazione ci sono punti fermi come l’ergastolo ostativo e il carcere duro che sono frutto del lavoro e dell’esperienza dei tanti servitori dello Stato che al contrasto ai clan hanno dedicato la vita. – spiega Maria Falcone – Indebolire una normativa costata sangue e sacrifici, che ha portato lo Stato a mettere a segno risultati importanti, sarebbe imperdonabile. Sono certa che la Corte Costituzionale, con la sensibilità che da sempre contraddistingue il suo operato – prosegue – nel decidere non dimenticherà le peculiarità delle mafie italiane che ai tempi indussero il legislatore ad adottare leggi come quella ora in discussione”.

Dunque “legare, come vorrebbero alcuni, la concessione dei benefici carcerari a un generico ravvedimento, indipendente dalla collaborazione con la giustizia del detenuto, è un concetto molto rischioso. Come è pericoloso concedere premialità che possono vanificare gli effetti del carcere duro. Solo un mese fa da un’inchiesta della Dda di Palermo ha dimostrato come un capomafia condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Livatino, al quale erano stati concessi permessi premio, abbia immediatamente colto l’occasione per riprendere le redini della cosca”.

Borsellino

Sulla questione interviene anche Salvatore Borsellino, che invece è il fratello di Paolo e che giudica la posizione dell’avvocatura dello Stato come una “resa incondizionata”, il “pagamento di una cambiale sulla trattativa” e una “diretta conseguenza del cambio di governo. Con il ministro Bonafede e con il governo Conte non sarebbe mai avvenuto”. “Ritengo – dice il fondatore del movimento Agende rosse – sia veramente il colpo di grazia che stanno dando a Borsellino e Falcone dopo averli uccisi. A 30 anni di distanza stanno pagando la più grande e grossa cambiale prevista dalla trattativa”. Il fratello del giudice ricorda come l’abolizione dell’ergastolo ostativo fosse “la più importante richiesta inserita da Riina nel papello e oggi – aggiunge – questa è la più grande resa da parte dello Stato. Una resa incondizionata”.

Si tratta di “una diretta conseguenza del cambiamento del governo perché l’Avvocatura dello Stato che prima aveva dichiarato incostituzionale l’abrogazione adesso affida la decisione su permessi e condizionale al giudice di sorveglianza che in caso li negasse sarebbe esposto in prima persona alla vendetta dei mafioso. E di queste cose ne abbiamo viste tante”.

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