La mafia si prepara alle prossime elezioni di settembre: le coscs'infiltrano nella PA grazie ai funzionari pubblici
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La mafia è pronta a “impossessarsi” delle prossime elezioni. L’allarme, l’ennesimo, è stato lanciato a riguardo delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre prossimi. Cioè il primo voto in cui le mafie capitalizzeranno gli investimenti compiuti durante l’emergenza coronavirus.

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Ciò vuol dire che la mafia sarà in grado di indirizzare i voti di quelle classi sociali che hanno beneficiato del cosiddetto welfare dei clan durante la crisi. L’allerta è stata lanciata dal generale Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia.

“Le regionali in arrivo non sono un evento chiuso, che si svolge in un alveo incontaminato, per questo temiamo che la mafia capitalizzi alle urne il consenso ottenuto attraverso il welfare alternativo alle aziende e ai privati in crisi post Covid. Purtroppo lo sappiamo, e la relazione lo dice: quest’anno abbiamo avuto 51 enti locali sciolti per mafia, è il dato più alto dal 1991. Ci sono tantissimi comuni della Calabria e della Sicilia sciolti per la prima volta, altri addirittura più volte. Ciò significa che il problema è patologico. Abbiamo due aziende sanitarie, tutte e due in Calabria, quella di Catanzaro e quella di Reggio Calabria, commissariate per infiltrazione mafiosa e sappiamo bene quanti soldi gestisca la Sanità regionale. Non possiamo non considerare il problema dell’infiltrazione come un problema serio, lo è sempre stato, solo che in epoche passate c’è stata molta insensibilità”, ha detto il capo della Dia.

La relazione

Nella relazione annuale della Dia, infatti, si spiega come da un lato le organizzazioni si sono fatte carico di fornire un “welfare alternativo” a quello dello Stato, un “valido e utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale”. Dall’altro lavorano per “esacerbare gli animi” in quelle fasce di popolazione che cominciano “a percepire lo stato di povertà a cui stanno andando incontro”. Due gli scenari: uno di breve periodo, in cui le organizzazioni punteranno “a consolidare il proprio consenso sociale attraverso forme di assistenzialismo, anche con l’elargizione di prestiti di denaro, da capitalizzare” alle prime elezioni possibili, e uno di medio-lungo periodo, in cui le mafie, e la ‘ndrangheta in particolare, “vorranno ancora più stressare il loro ruolo di player affidabili ed efficaci anche su scala globale”.

Con l’intera economia internazionale che avrà un disperato bisogno di liquidità le cosche offriranno ai mercati considerevoli iniezioni finanziarie: “Non è improbabile – si legge nella relazione della Dia – che aziende di medie e grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva su capitali mafiosi“. E non è improbabile che “altre aziende in difficoltà ricorreranno ai finanziamenti delle cosche”, senza sottovalutare il fatto che la semplificazione delle procedure di appalto “potrebbe favorire l’infiltrazione delle mafie negli apparati amministrativi”.

Diversi i settori a rischio indicati dalla Dia

Quello sanitario, innanzitutto, “appetibile” sia per le enormi risorse che saranno a disposizione sia per il controllo sociale che può garantire. Poi ci sono il turismo, la ristorazione e i servizi connessi alla persona, i più colpiti dal Covid, dove la “diffusa mancanza di liquidità espone molti commercianti all’usura“. E, ovviamente, i fondi che verranno stanziati per il potenziamento di opere e infrastrutture “anche digitali: la rete viaria, le opere di contenimento del rischio idrogeologico, le reti di collegamento telematico, le opere per la riconversione a una green economy, l’intero ciclo del cemento”.

Gli enti sciolti per mafia

Nel 2019 sono stati 20 i consigli comunali sciolti per mafia. Ci sono, poi, 2 Aziende sanitarie provinciali, che si sono aggiunte alle 29 amministrazioni ancora in fase di commissariamento. Dei 51 Enti, 25 sono in Calabria, 12 in Sicilia, 8 in Puglia, 5 in Campania e uno in Basilicata, un numero totale che non è mai stato così alto dal 1991, anno di introduzione della normativa sullo scioglimento per mafia degli enti locali. L’infiltrazione negli enti locali “si conferma come irrinunciabile” per le organizzazioni criminali: perché attraverso i funzionari pubblici le cosche riescono a mettere le mani sulle risorse della pubblica amministrazione e perché consente loro di rendersi “irriconoscibili, di mimetizzare la loro natura mafiosa riuscendo addirittura a farsi ‘apprezzare’ per affidabilità imprenditoriale”. Ed è quest’ultima la “leva” che, soprattutto nelle regioni del Nord, attrae decine di professionisti e imprenditori che si “propongono alle cosche”.

La mafia nelle PA grazie ai funzionari pubblici

Dei 51 Enti, 16 sono stati sciolti più volte, fatto che conferma – spiega la Dia – “una continuità nell’azione di condizionamento delle organizzazioni mafiose in grado di perpetuarsi per decenni e a prescindere dal posizionamento politico dei candidati”. “Dalla disamina di tutti i provvedimenti – proseguono gli investigatori – emerge in tutta evidenza come le organizzazioni mafiose abbiano l’assoluta necessità di infiltrare la Pubblica amministrazione. Questo consente loro di ottenere consenso sociale nei più svariati modi, dalle assunzioni alle sovvenzioni fino alla mancata riscossione dei canoni, di garantirsi appoggio politico, appalti e servizi pubblici, lucrando sulle risorse naturali e sulle peculiarità produttive che il territorio riesce ad esprimere”. Alla luce della situazione, la Dia invita tutte le istituzioni a una “riflessione” e a mettere in campo una strategia di prevenzione e contrasto “ancora più efficace”, specie ora che si possono verificare gli effetti sul piano economico dell’inserimento delle mafie dopo il Covid“: sarà infatti la Pa, dopo le aziende, “la più esposta agli interessi delle organizzazioni criminali, a partire proprio dai Comuni che potrebbero beneficiare di forti somme di denaro”.

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