Autostrade: quando D'Alema "regalò" la concessione ai Benetton. E Conte blinda il gruppo Gavio
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Lo Stato, è notorio, ha avuto sempre un atteggiamento arrogante con i deboli e da verme con i più forti. La storia d’Italia è piena di esempi. Tra gli ultimi quella riguardante Società autostrade.

Nel 1998 il governo Prodi ha un problema: entrare nella moneta unica. Per far sì che tutto proceda per il meglio deve dare avvio alle privatizzazioni. Un segnale fondamentale per Bruxelles, soprattutto per una parte della maggioranza, quella dei Ds eredi del Pci. Le privatizzazioni diventano il simbolo della sinistra. E per rendere più appetibile al mercato la privatizzazione, viene prolungata di vent’anni la scadenza della concessione: dal 2018 al 2038.

In autunno, però, arriva Massimo D’Alema nella stanza dei bottoni. E l’accordo si conclude.

Nella primavera del 1999, il sottosegretario ai Trasporti dei Ds, Antonio Bargone, spiega: “A questo punto sono state individuate chiare prospettive reddituali, i conti economici dell’azienda vanno bene, per cui è urgente dismettere le quote di proprietà pubblica”. Così sarà. Alla fine di quell’anno il gruppo Benetton conquista il controllo di Autostrade. Contemporaneamente Telecom Italia, Roberto Colaninno, inizia la scalata. 

Il centrosinistra, con Unipol e Monte dei Paschi sta opponendo il suo blocco di potere finanziario a Mediobanca.

Dal lontano 2003 ad oggi la società dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, controllata dal gruppo Autostrade per l’Italia, è presieduta da Antonio Bargone, il sottosegretario diessino che nel 1999 tanto si era impegnato per una privatizzazione così anomala. 

“Vero è che esistevano già allora concessionari privati, ma nessuno aveva una porzione tanto grande della rete” spiega Repubblica. “Senza considerare che l’ingresso delle Autostrade nella compagine dei concessionari privati ebbe anche l’effetto di rendere quella lobby ancora più potente. Dimostrazione, da allora l’unico settore dei servizi pubblici che ogni 1° gennaio ha ottenuto dal governo l’aumento delle tariffe senza battere ciglio è quello delle autostrade”.

Il risultato di quella privatizzazione è che i pedaggi sono saliti di oltre il 75% a fronte di un’inflazione del 38%. Con profitti che di anno in anno andavano in orbita. Dal 2000 al 2019 Benetton ha accumulato utili di poco inferiori ai 13 miliardi in valuta 2020, a fronte dei 3,6 miliardi spesi per comprare la partecipazione a fine 1999.

E perché il governo Prodi ha reso tutto così conveniente?

Perché più profitti fanno i concessionari, più tasse pagano come commenta il professor Marco Ponti, fra i maggiori esperti dei trasporti. I contratti prevedevano un rendimento garantito: se in altre parti del mondo il prezzo cala al crescere della produttività, in Italia il prezzo saliva sempre. I concessionari autostradali avevano l’obbligo di presentare i piani di investimento, senza però l’obbligo di rispettarli. Gli aumenti delle tariffe venivano regolarmente concessi sugli impegni di lavori e manutenzioni scritti sulla carta, anche se quei lavori e quelle manutenzioni poi non si facevano. Un rapporto dell’Anticorruzione ha rivelato che quasi nessun concessionario ha rispettato per vent’anni le promesse di investimento formulate nei piani finanziari. Senza alcuna sanzione. Per di più, i controlli sono sempre stati a dir poco carenti.  

La nascita dell’Autorità

Il governo Monti con il “Salva Italia” stabilì che l’Autorità di regolazione dei trasporti non poteva mettere bocca sulle concessioni autostradali in essere, ma solo su quelle future. Per consentire all’autorità del Trasporti di controllare, ci sono voluti 43 morti.

Così il Gruppo Gavio diventa monopolista delle autostrade e occupa il Nord

Una prassi che l’attuale governo ha adottato anche con la Asti-Cuneo e Torino-Milano, gestite dal gruppo Gavio. Il ministero delle Infrastrutture ha bollinato senza fare una piega i nuovi piani finanziari, aggirando pure il previsto giudizio dell’Unione europea. “E li ha bollinati riconoscendo un valore di subentro, cioè la somma che l’eventuale nuovo concessionario dovrebbe pagare al vecchio come indennizzo al momento di prendere il suo posto, pari a 1 miliardo 232 milioni”

Uno Stato verme con i forti.

 

di Antonio Del Furbo

antonio.delfurbo@zonedombratv.it

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