Laura Boldrini, la paladina dei diritti che non paga le donne
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Laura Boldrini, paladina dei diritti delle donne e dei diritti dei lavoratori più fragili, è finita sul tavolo dei funzionari del Caf per non aver pagato la liquidazione alla collaboratrice domestica che, per otto anni e dieci mesi, ha lavorato presso l’abitazione della deputata.

E non sarebbe l’unica dipendente ad essersi lamentata del trattamento ricevuto dell’esponente dem.

La segnalazione è partita da Lilia, collaboratrice domestica moldava della deputata, che si è rivolta a un patronato, e alla quale hanno fatto seguito rivelazioni “scottanti” di altre ex collaboratrici di Laura Boldrini.

“A maggio 2020 ho dovuto dare le dimissioni perché la signora (Laura Boldrini, ndr), dopo tanti anni in cui avevo lavorato dal lunedì al venerdì, mi chiedeva di lavorare meno ore, ma anche il sabato, ma io ho famiglia, dovevo partire da Nettuno e andare a casa sua a Roma, per tre ore di lavoro. Siamo rimaste che faceva i calcoli e mi pagava quello che mi doveva, non l’ho più sentita. La sua commercialista mi ha detto che mi contattava e invece è sparita”.

Tremila euro negati

La donna, racconta al Fatto, è stata costretta, così, a rivolgersi agli avvocati di un patronato capitolino per chiedere il pagamento della liquidazione a lei spettante. Una cifra pari a 3mila euro. La storia di Lilia non è però un caso isolato. Nell’inchiesta si parla di altre collaboratrici finite in cattivi rapporti con la deputata dem. Una lista che si allunga ora dopo ora. Prima lo storico portavoce di Laura Boldrini dimessosi alla fine dell’estate scorsa per “contrasti avuti con lei per il trattamento riservato ad alcune collaboratrici”. Poi un’altra collaboratrice che ha lavorato per quasi tre anni e che ha raccontato:

“Ho tre figli, partivo il martedì alle 4.30 da Lodi per Roma, lavoravo per tre giorni 12 ore al giorno, dalla mattina presto alle 21 di sera. Per il resto lavoravo da casa e guadagnavo 1.200/1.300 euro al mese e da questo stipendio dovevo togliere costi di alloggio e dei treni. Quando uno dei miei tre figli si è ammalato e doveva essere operato a maggio scorso, ho chiesto di rimanere in smartworking anche perché di treni ce n’erano pochi e costosissimi. Lei mi ha risposto che durante il lockdown avevo risparmiato. A un certo punto parte del suo staff aveva pensato di fare una colletta per pagarmi i treni. Ho dato le dimissioni sfinita”.

Un ruolo di assistente parlamentare che, racconta la donna, andava anche oltre con mansioni da assistente personale, che avrebbero determinato un trattamento economico ben diverso: dall’andare a ritirare le giacche dal sarto a prenotare il parrucchiere e comprarle trucchi o pantaloni.

La Boldrini faceva anche richieste esasperanti

“Tutti i giorni scrive post sui bonus baby-sitter o sui migranti in mare, poi però se l’hotel che le veniva prenotato da noi era rumoroso, in piena notte magari chiamava urlando. Poi magari non ti parlava per due giorni. Io credo che ritenga un privilegio lavorare con lei, questo è il problema. Chiarisco però che alcuni dipendenti li tratta bene, specie chi la adula o chi si occupa della comunicazione, perché quello è il ramo che le interessa di più”.

Intanto Laura Boldrini si difende e replica alle accuse: “Sto preparando una nota ufficiale per rispondere a una ricostruzione dei fatti che non risponde alla realtà delle cose e per replicare. Sono davvero dispiaciuta: si tratta di due collaboratrici valide, in ambiti ovviamente totalmente diversi. E mi aspettavo da loro che, se ritenevano che ci fosse con me qualche problema, me ne parlassero direttamente e non tramite un giornale, tutte due insieme poi… Mi pare che abbiano fatto ricorso a un metodo quanto meno improprio, che lascio agli altri giudicare e commentare”. 

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