Loggia Ungheria: indagato il giudice Paolo Storari
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Cominciano a farsi sentire gli effetti che stanno travolgendo il Csm. E così un magistrato è indagato: si tratta di Paolo Storari. Un altro, Piercamillo Davigo, sentito come testimone. Quatto procure (Roma, Perugia, Milano e Brescia) al lavoro. Sul tavolo del procuratore generale Giovanni Salvi sono arrivati i primi atti per dare il via al disciplinare.

Alla loggia Ungheria descritta dall’avvocato-pentito Piero Amara scattano indagati e convocazioni eccellenti per l’inchiesta avviata nella capitale sulla fuga di notizie da Palazzo dei Marescialli.

Paolo Storari, il sostituto milanese, è indagato a Roma in relazione all’indagine che vede già sotto accusa Marcella Contrafatto, la funzionaria (sospesa) del Csm e assistente dell’allora consigliere superiore Piercamillo Davigo, ritenuta la “postina” che ha diffuso materiale scottante ai giornalisti di Repubblica e del Fatto. Inchiesta nella quale la Procura guidata da Michele Prestipino ha ritenuto opportuno sentire oggi, in qualità di testimone, Piercamillo Davigo.

Storari ha ricevuto l’invito a comparire per sabato: il pm milanese dovrà rispondere di rivelazione del segreto d’ufficio. Si tratta del magistrato che, un anno fa, decise di portare materialmente al Csm, e in particolare all’allora consigliere Davigo – fuori da ogni protocollo o trasmissione formale – copie dei verbali, tutti coperti da segreto ma senza firme, che erano stati riempiti da Amara.

La loggia Ungheria di politici, burocrati e magistrati

Amara – già coinvolto nel depistaggio Eni e già condannato per più episodi di corruzione – aveva raccontato allo stesso Storari, e alla collega Laura Pedio, dell’esistenza di una presunta associazione segreta. Una vera e propria loggia, la Ungheria, con una serie di ritualità e riconoscimenti in codice della quale avrebbero fatto parte giudici, personaggi politici e alti burocrati, professionisti, industriali ed esponenti di vertice delle forze dell’ordine.

Storari commise quell’illecito perché era convinto che vi fosse un preoccupante immobilismo da parte dei vertici milanesi. In particolare era allarmato dal fatto che alla gravità di tali accuse non seguissero immediati accertamenti volti a stabilire “se si trattasse di intrecci” oggettivamente inquietanti, o di calunnie, di cui Amara avrebbe dovuto rispondere tempestivamente.

Storari rischia anche un trasferimento d’ufficio.

Per lui sono arrivati però attestati di stima da parte di suoi colleghi ed avvocati del distretto lombardo. Alla base della decisione di Storari c’è il conflitto con il procuratore capo, Francesco Greco, a cui scrisse diverse mail. Un “conflitto” di cui Davigo, una volta ricevute carte e sfoghi da Storari, parlò prima con i vertici del Csm, poi con alcuni colleghi consiglieri. Non sentì, però, l’esigenza di segnalare il deposito di quelle carte segrete. Davigo lascia il Consiglio, per limiti di età, nell’ottobre 2020. Poco dopo, la funzionaria che lavorava con lui, secondo la ricostruzione dei pm, recupera quei verbali e li diffonde. Un altro consigliere, Nino Di Matteo, li riceve e ne denuncia l’esistenza direttamente in plenum.

Della vicenda se n’è occupato il pg Giovanni Salvi, uscito ieri da un denso comitato di presidenza del Csm con il vicepresidente David Ermini, in cui è stato sfiorato l’argomento Amara. In queste ore altra documentazione è attesa da Milano e da Roma. L’intenzione del Csm è quella di tutelare le istituzioni, arginare quest’onda di discredito che rischia di abbattersi sul Palazzo e sulla giustizia con maggiori lesioni di quante non ne abbia già inferte lo scandalo Palamara.

La procura di Brescia apre un fascicolo

Ma l’inchiesta di Milano non è la sola. Ieri si è mossa la procura di Brescia dove è stato aperto un fascicolo, al momento senza indagati, partendo proprio dalle dichiarazioni di Di Matteo in consiglio che leggeva l’anonimo su presunte “inerzie di Milano”. Mentre Perugia ha notificato un avviso di chiusura indagini ad Amara per i suoi rapporti corruttivi con un agente dei Servizi, 30mila euro dati a Francesco Sarcina. I legali ribattono: “È un disguido della giustizia, per quell’episodio Amara ha già patteggiato a Roma”.

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