Netflix della Cultura: il governo stanzia 10 milioni
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La “Netflix della Cultura” nascerà subito dopo il Ponte dell’Immacolata. Sono già stati firmati gli impegni di investimento dei due soci che mercoledì si ritroveranno dal notaio per costituire la società.

A fine febbraio si parte.

A maggio, quando l’Italia usciva dal terribile lockdown della prima ondata, il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini annunciava l’intenzione di far nascere una “Netflix della cultura”.

“L’idea era nell’aria. Si iniziavano a vedere musei o teatri che riaprivano online e gratis sui loro siti web. Fu allora che pensammo che una unica piattaforma per valorizzare nel mondo l’offerta culturale italiana e in particolare gli spettacoli dal vivo era una opportunità enorme”.

L’idea diventa una norma del “decreto rilancio” dove si dicono due cose: il progetto lo realizzerà Cassa depositi e prestiti; il Mibact contribuirà con 10 milioni di euro.

Franceschini chiama la Rai

Proprio in quei giorni Franceschini chiama l’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini che reagisce con entusiasmo; il 1° giugno il Mibact formalizza alla Rai la richiesta di prendere parte al progetto chiedendo la partecipazione della direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli che viene accordata. Ma poi la Rai frena. Due le ragioni: la prima è che Rai Play, che sarebbe la piattaforma ideale, non ha un sistema per monetizzare gli eventi, è tutta gratuita; la seconda, è che la Rai trasmette solo gli eventi che produce. Franceschini vuole:

“Creare un posto dove il pubblico possa trovare tutte le produzioni teatrali e musicali, ma anche museali. E monetizzarle creando una fonte di ricavi aggiuntiva”.

E, aggiunge:

“C’è in giro una comprensibile diffidenza che nasce dal timore che lo streaming possa mortificare lo spettacolo dal vivo, con il pubblico in sala, che invece resta centrale, non a caso si chiama dal vivo. Qui invece si tratta di creare uno strumento utile il prossimo anno quando magari le riaperture saranno a capienza ridotta per la pandemia, ma che resterà per sempre come fonte di ricavo aggiuntivo“.

Serviranno soldi per produrre televisivamente spettacoli teatrali e concerti. Franceschini vuole destinare allo streaming una parte del fondo unico dello spettacolo, mentre a Cdp sperano nell’apporto delle Fondazioni bancarie che potrebbero sostenere i teatri locali. Indietro non si torna.

“Le persone ormai si stanno abituando a fruire la cultura anche in streaming. In questi mesi sono nate decine di siti che offrono concerti e spettacoli dal vivo. Il San Carlo ha venduto la prima della Cavalleria Rusticana a 18 mila persone tramite Facebook. Il mio timore non è che l’idea non funzioni, è di arrivare tardi“.

Il bando

Dopo l’uscita di scena della Rai, Cdp ad agosto ha fatto un bando in cerca di un partner tecnologico. Hanno risposto in una dozzina, la Rai è stata di nuovo sollecitata ad entrare e non ha risposto. Molti dei partecipanti si sono progressivamente sfilati dicendo che “il modello di business non regge”. È rimasta Chili. È una startup fondata nel 2012 da un gruppo di fuoriusciti di Fastweb guidati allora da Stefano Parisi e da qualche tempo da Giorgio Tacchia: in questi anni hanno costruito una piattaforma sofisticata che non solo distribuisce film in cinque paesi, ma ha strumenti per vendere o noleggiare un singolo evento.

Per sette anni Chili ha chiuso bilanci in perdita ma le metriche con cui sono valutate le startup sono: la piattaforma; la crescita dei clienti (4,5 milioni); e la library (50 mila film, uno dei più grandi sul mercato). “E comunque il bilancio 2020 sarà in pareggio” dicono a Chili.

Il business plan della Netflix della cultura

Sulla carta funziona perché non si limita a monetizzare lo streaming degli spettacoli dal vivo ma diventa anche uno strumento per vendere i biglietti, il merchandising e la promozione culturale dei territori. La scelta finale è di Cdp, dice Franceschini, “perché la politica deve restare fuori“.

La valutazione finale è di sei milioni di euro: a questi ne vanno aggiunti tre in cash sempre da Chili, 10 dal Mibact come contributo una tantum, e 9,5 di Cdp che ha la maggioranza della società e il diritto di nomina degli amministratori.

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