Non siamo migliori dopo il Covid. Molti Paesi investono in carbone e gli Stati finanziano i petrolieri
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Altro che mondo migliore: dopo il Covid pare tornare tutto come prima. A partire dalla fantomatica ripresa economica passando per la rivoluzione del verde sostenibile.

Non siamo per nulla sostenibili. A dirlo il rapporto Global Energy Review pubblicato in aprile, dall’Agenzia internazionale dell’energia, che ha rivelato che la quantità di anidride carbonica proveniente da produzione di energia sta salendo del 5%.

Tra i motivi c’è il fatto che, dopo anni di declino, la domanda di carbone cresce del 4,5%, nonostante gli impegni internazionali per raggiungere lo zero nelle emissioni e che prevedeva la fine del carbone entro il 2021.

La nuova vita del carbone

Il rapporto pubblicato dal Global Energy Monitor, un’organizzazione che controlla i progetti sui combustibili fossili in tutto il mondo, evidenzia che il carbone sta vivendo una seconda epoca d’oro. È stata infatti pianificata l’apertura di  nuove miniere. In tutto i progetti sarebbero 432, con una produzione annuale di 2,28 miliardi di tonnellate di carbone. La maggior parte finanziati pubblicamente. I Paesi che nel 2020 hanno avuto la maggior parte di impianti in pre costruzione sono stati la Cina (158,7 GW), l’India (29,2 GW), l’Indonesia (22,2 GW) e il Vietnam (21,9 GW). Cina, India, Russia e Australia rappresentano i tre quarti dei nuovi investimenti.

Tre progetti su quattro sono ancora ai primi stadi e potrebbero anche essere cancellati.

Un quarto invece è già in costruzione. La Cina da sola sta andando in controtendenza. Ha per la prima volta aumentato le sue capacità dal 2015. Mentre nel 2020 sono stati ritirati 37,8 GW di centrali a carbone, soprattutto statunitensi, i cinesi hanno risposto aprendone 38,4 GW. La Cina ha commissionato gli impianti a carbone nel 2020, e in particolare da marzo. La produzione globale cinese aumenterà di 452 milioni di tonnellate all’anno e sarà concentrata in solo quattro provincie: Mongolia interna, Xinjiang, Shaanxi e Shanxi.

Il Paese ha promesso di arrivare al picco di emissioni nel 2030 e allo zero nel 2060.

Le Nazioni Unite hanno stimato che entro il 2030 verrà estratto tre o quattro volte carbone più di quanto compatibile con i limiti di Parigi, mentre dovrebbe scendere dell’11 per cento per mantenere la temperatura sotto il rialzo di 1,5 gradi.

189 miliardi contro 147

L’uscita dal carbone è uno dei punti più forti dell’agenda climatica che verrà riproposta in novembre a Glasgow, nel corso della Cop 26, il summit sul clima. Ma molti Paesi continuano a difendere i combustibili fossili, aggirando gli ostacoli e continuando a finanziarli. Tearfund, agenzia internazionale di soccorso inglese, l’International Institute for sustainable development e l’Overseas development institute ricordano che i Paesi hanno completamente dimenticato la promessa di cambiare rotta dopo la pandemia e hanno per esempio pompato milioni di dollari nelle casse dei petrolieri.

Perché investire nel carbone quando i prezzi delle rinnovabili sono molto più convenienti?

Le miniere di carbone contengono anche notevoli quantità di metano, che viene inevitabilmente rilasciato anche quando viene sfruttato industrialmente. Nel 2020 le emissioni di metano da estrazione sono state il 9 per cento di quelle totali. Il Global Energy Monitor ha stimato il contributo dei 432 nuovi progetti. Molti di questi si trovano proprio in punti dove ci sono grandi quantità di gas. Emetterebbero di 13,5 milioni di tonnellate per anno, ovvero il 30 per cento in più del tasso attuale. Il metano è ancora peggio dell’anidride carbonica.

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