Quando Napolitano trattò la resa di Berlusconi. Il giorno dell'attentato alla democrazia
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Ricordo una dichiarazione di Silvio Berlusconi di qualche anno fa. Era il periodo in cui stava scontando la sua pena ai servizi sociali. “La promessa che ho fatto è di non attaccare i giudici”. Poi, il Cavaliere, accennò anche a qualcosa riguardo il suo impegno in politica. Quando Napolitano trattò la resa di Berlusconi.

Furono dichiarazioni di alcuni secondi estrapolate da un contesto diverso. Quelle parole mi rimasero impresse per due semplici motivi: il primo per la potenza del contenuto, il secondo per ‘l’indifferenza’ nella trattazione. Mi vennero delle domande spontanee: chi impedì al Cavaliere la libertà d’espressione? Ma soprattutto: perché?

Ad aggiungere qualche tassello per la risoluzione dei miei dubbi, mi arriva in soccorso il racconto di Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1 ed ex senatore di Forza Italia.



“Era l’estate del 2013 – racconta Minzolini – , e in un pomeriggio afoso, nella Roma agostana semideserta, la berlina presidenziale, con al seguito auto di scorta e corazzieri motociclisti, si fermò davanti al civico di via Bruno Buozzi ai Parioli, dove ha lo studio il noto penalista, Franco Coppi, che assisteva Silvio Berlusconi nel processo per frode fiscale in cui è stato condannato e che provocò la sua decadenza da senatore.”

Quelli erano giorni in cui fu emessa la sentenza. Giorgio Napolitano raggiunse lo studio di Coppi per trattare la grazia per l’ex premier e leader di Forza Italia. “Napolitano era pronto a concedere la grazia – spiega Minzolini – , ma pretendeva da Berlusconi un ritiro ufficiale dalla politica. Così quel provvedimento di clemenza che, normalmente, è esaminato sulla base di una valutazione giuridica, fu analizzato con le logiche della politica e presentato con le sembianze di una resa.”

Un racconto, quello dell’ex direttore, che basterebbe a far tremare il Quirinale, Montecitorio e il palazzo del Csm. Ma nulla di tutto questo accade in un’Italia post-pandemica e con la voglia di godersi le vacanze.

Ciò che si barattò in quelle ore, in sostanza, fu la democrazia con logiche di palazzo. Ovviamente Berlusconi si oppose a quella fine ingloriosa e preferì alla fine scontare la pena ai servizi sociali come volontario a Cesano Boscone. Una vera e propria trattativa, non ancora smentita, tra un capo dello Stato, che avrebbe dovuto essere il garante nello scontro tra ‘politica’ e giustizia e il leader di una opposizione. “Perché in quell’occasione, la giustizia per come è amministrata nel Belpaese, si rivelò nella realtà per ciò che era: l’arma con cui si combatte la politica in Italia” aggiunge Minzolini.

Un’operazione, quella di Napolitano, che permette di comprendere anche le parole di Amedeo Franco, relatore nel giudizio di Cassazione contro l’ex premier, contenute in una registrazione resa nota dal Riformista.

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Franco parla “di sentenza che faceva schifo… di vicenda guidata dall’alto”. Fu l’epilogo di una guerra iniziata molti anni prima, con l'”operazione” che portò alla crisi del governo Berlusconi. Una guerra combattuta soprattutto nelle procure e nelle aule dei tribunali. “Berlusconi, infatti, è stato il bersaglio più illustre di quel triangolo delle Bermuda – che mette insieme il carrierismo dei magistrati, la politica e i processi, simbolizzato dal Csm che ingoia le sue vittime, insieme allo Stato di diritto e alla democrazia. Un meccanismo che va avanti da quarant’anni e che solo oggi ha portato Ernesto Galli della Loggia a puntare l’indice contro le logiche politiche della magistratura o il dott. Luca Palamara, appena espulso dall’Anm, ad esprimere qualche dubbio sulla correttezza dei processi al Cav: ‘È un tema da approfondire'”.

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C’è poco da dire: il giustizialismo, ancora adesso, ha sottratto agli elettori la democrazia. Ed è per questo che una commissione d’inchiesta va velocemente fatta per ripristinare il potere ai cittadini. C’è già la prova – osserva Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia – che una parte della magistratura italiana utilizza gli strumenti spropositati che gli abbiamo dato, per uccidere politicamente i suoi nemici o di qualcuno più in alto”.  

E come si è visto tutti possono diventare bersagli: Salvini, Renzi, Berlusconi.  

“Ho avuto 96 processi, 105 avvocati e ho gettato un miliardo e mezzo di euro in spese legali – spiega Berlusconi – . La verità è che quel processo ha portato le sinistre al governo e cambiato la storia del Paese. Spero che gli italiani lo capiscano, anche se nelle ultime elezioni politiche sono stati fin troppo sciocchi”.

di Antonio Del Furbo

antonio.delfurbo@zonedombratv.it

phone: 329.3526266

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