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Dal suo blog Adriano Celentano torna a sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso Corona. Qualche settimana fa aveva già rivolto al Presidente della Repubblica un accorato appello con una richiesta di grazia per l’ex agente dei fotografi.

“Caro Presidente Napolitano” scriveva Celentano “mi scusi, se con tutti i grattacapi che immagino lei abbia, anch’io mi accodo con una richiesta di grazia per Fabrizio Corona. Pensi che io non l’ho mai conosciuto, ma ho seguito le sue vicissitudini attraverso i giornali e la televisione. E ogni volta, quando lo vedevo e lo sentivo parlare, avvertivo come un qualcosa che spaccava in parti uguali due sentimenti fra di loro contrastanti: da un lato mi irritava la sua spavalderia nell’ostentare tanta sicurezza, dall’altro avvertivo un senso di profonda tenerezza come chi, bisognoso di affetto, improvvisamente si rendesse conto di quanto grande fosse il sacrificio che lo attendeva per aver rincorso una ribalta attraverso il gioco di una carta sbagliata: di uomo forte, rude, che deve piacere alle donne e che non piange mai, neanche quando il giudice lo condanna, perché fotografi e giornalisti sono lì pronti a immortalare la lacrima che invece lo salverebbe da una pena così eccessiva”.

Celentano non è nuovo a prese di posizione e a ragionamenti che, spesso, attirano le ire dei salotti buoni ma in questo caso forse c’è dell’altro. È un filo rosso che, probabilmente, quella di Stefano Cucchi a Corona. Capisco che il giudice applichi la legge, –aggiunge il cantante – ma ciò che non capisco è perchéla applica quando vuole lui“. Nella lettera indirizzata simbolicamente a Stefano Cucchi, scrisse:Lì, dove sei adesso, c’è la LUCE, la LUCE vera!!! Che non è quella flebile e malata di quei giudici “ignavi”  che, come diceva Dante, sono anime senza lode e senza infamia e proprio perché non si schierano né dalla parte del bene e né da quella del male sono i più pericolosi, e giustamente il Poeta li condanna.” 

L’Adriano nazionale è uno che parla al cuore e non al cervello e al Presidente della Repubblica che verrà ha ricordato di essere “prima di tutto un uomo che perdona e non solo per obbedire al significato della parola ‘perdono’, ma soprattutto per saper condannare quando è giusto condannare”. Dunque:se la pena supera in modo spropositato la misura dei suoi errori, io credo che ognuno di noi debba mettersi una mano sulla coscienza. E se questo non lo fa un giudice, le chiedo di farlo lei Sig. Presidente” perché “a Lei che è nella condizione di aggiustare i passi di coloro che sbagliano, chiedo solo un po’ di pietà e di concedere la grazia a quel Ragazzo che ‘nel male ha agito bene’, come disse Gesu’. Infierire, significherebbe assistere alla stupida amputazione di un’Anima che sta per RISORGERE.

Certo, a qualcuno non può piacere l’appello di Celentano ma, almeno fino a quando non è reato, è possibile fare appelli al cuore delle persone.  

ZdO 

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