Per la prima volta una sentenza ha certificato ciò che alcuni carabinieri hanno fatto per occultare quanto accaduto la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 nella caserma Casilina. Il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, condannato a 5 anni di carcere.
Per la sentenza Cucchi il colonnello Francesco Cavallo dovrà invece scontare 4 anni di reclusione. Il tribunale di Roma ha anche condannato l’ex comandante della compagnia di Montesacro Luciano Soligo e il carabiniere Luca De Cianni, che dovranno scontare rispettivamente 4 anni e 2 anni e 6 mesi di carcere.
Poi c’è l’allora comandante della quarta sezione del Nucleo Investigativo, Tiziano Testarmata, condannato a 1 anno e 9 mesi di carcere. Un anno e tre mesi dovrà invece scontarli Francesco Di Sano (il carabiniere scelto che prestava servizio alla stazione dei carabinieri Tor Sapienza). E anche Lorenzo Sabatino (ai quei tempi comandante del Reparto Operativo) dovrà scontare 1 anni e 3 mesi di carcere. E ancora Massimiliano Colombo Labriola (Luogotenente ed ex comandante della stazione di Tor Sapienza), condannato a 1 anni e 9 mesi di reclusione.
Al tentativo di depistare le indagini sulla morte di Cucchi si è opposta la sentenza appena emessa dal giudice romano Roberto Nespeca: gli otto carabinieri, praticamente un’intera catena di comando, sono stati condannati a scontare complessivamente 22 anni di carcere.
Ilaria Cucchi: “Anni di vita distrutti”
“Sono sotto shock. Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno. Anni e anni della nostra vita distrutti, ma oggi ci siamo e le persone che sono stati la causa, i responsabili, sono condannati”, ha detto Ilaria Cucchi immediatamente dopo la lettura del dispositivo con cui i militari dell’Arma sono stati condannati
Le indagini che tre giorni fa hanno portato la Cassazione a condannare a 12 anni di carcere i carabinieri che hanno ucciso di botte il ragazzo romano, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, sono andate avanti nonostante i falsi, i favoreggiamenti, le calunnie e le mancate denunce.
Una sentenza storica
La sentenza è importante. Perché racconta, per usare le parole del sostituto procuratore Giovanni Musarò, di come “un intero Paese è stato preso in giro per sei anni” attraverso “un’attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva”. I tentativi di offuscare le indagini sarebbero continuati fino “al febbraio 2021”.
Annotazioni di servizio falsificate, registri sbianchettati, prove “dimenticate” e testimoni ingiustamente accusati. Anche Stefano Cucchi è stato infangato, quando ormai non poteva più difendersi, visto che è stato detto che il ragazzo si sarebbe “anche auto lesionato sbattendo più volte il viso a terra e al muro in cella”, sostiene l’accusa.
“Depistaggi portati avanti scientificamente”
“Organizzata un’attività di depistaggio che viene portata avanti scientificamente”, ha detto il pm nella sua requisitoria.
All’indomani della morte di Cucchi, nel 2009, hanno modificato le relazioni di servizio. E anche dopo anni, quando il caso nel 2015 è stato riaperto, c’è stato un tentativo di ostacolare le indagini “dimenticando” le prove che avrebbero dimostrato ciò che era accaduto anni prima.
Le indagini dei carabinieri
Un’attività che non è bastata a fermare la verità. E che adesso la sentenza Cucchi ha portato alla condanna di chi, quella verità, ha tentato di nasconderla. Il tutto anche grazie alle indagini condotte dall’Arma dei carabinieri sui loro stessi colleghi, che hanno, secondo la sentenza, infangato la divisa. E per questo motivo lo stesso comando generale si è costituito come parte civile.
Il legale: “Casarsa, anima nera”
Netto anche l’avvocato Fabio Anselmo, che ha definito il generale Casarsa “anima nera” dei depistaggi. “Tutto quello che hanno scritto su Stefano Cucchi, tossicodipendente, anoressico, sieropositivo e tutto quello che hanno scritto sulla famiglia è falso – ha detto il penalista – E ora che qualcuno si assuma le responsabilità. Chiunque vada contro questa sentenza e quella pronunciata lunedì dalla Cassazione, chiunque avrà il coraggio di affermare che Stefano aveva una qualsiasi patologia commette un reato di diffamazione. Perché quelle annotazioni di servizio che hanno gettato tanto fango sulla famiglia Cucchi, per 12 anni, e che hanno ucciso lentamente Rita Calore e Giovanni Cucchi, sentendosela ripetere sui giornali, ogni giorno, e hanno logorato la vita di Ilaria, sono false, studiate a tavolino. E l’anima nera del caso Cucchi è il generale Casarsa”.
L’Arma: “Condotte lontane dai nostri valori”
“La sentenza Cucchi odierna riacuisce il profondo dolore dell’Arma per la perdita di una giovane vita. Ai familiari rinnoviamo – ancora una volta – tutta la nostra vicinanza. La sentenza, seppur di primo grado, accerta condotte lontane dai valori e dai principi dell’Arma”, così in una nota il Comando generale dell’Arma dei carabinieri. “L’amarezza – prosegue l’Arma – è amplificata anche dal vissuto professionale e personale dei militari condannati. Nei loro confronti sono stati, da tempo, adottati trasferimenti da posizioni di comando a incarichi burocratici”.