Spallanzani
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Lazzaro Spallanzani è stato un ricercatore vissuto nel Settecento e considerato pioniere scientifico della fecondazione artificiale. Il suo nome oggi è riferito all’ospedale che ospita settecento dipendenti e assorbe 3,5 milioni di euro di Stato.

Ci sono 400 medici, infermieri e sanitari. La struttura può ricoverare contemporaneamente 152 degenti e custodire uno dei due laboratori italiani di livello di biosicurezza 4, il massimo previsto, cinque laboratori di livello 3 e una banca criogenica che può ospitare fino a venti contenitori di azoto liquido da mantenere a -80° centigradi.

Nello Spallanzani, però, oltre a direttori e medici ci sono anche ricercatori precari. Ricercatori che hanno permesso alla struttura di accreditarsi tra gli ospedali più prestigiosi: Polo di riferimento nazionale per l’Ebola, Polo di riferimento per il bioterrorismo, Polo per la Sindrome respiratoria Sars. Per continuità, nel 2020 è diventato Polo di riferimento per il coronavirus.

Il finanziamento di Stato

I 3.541.840 euro l’anno spettati allo Spallanzani nel 2018. La somma è parte di un contributo (159 milioni) che il ministero della Salute destina ogni anno ai 51 Irccs (ventuno pubblici e trenta privati). “I tre milioni e mezzo sono l’unico finanziamento di Stato che riceviamo”, spiega il direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, 66 anni, biomedico e infettivologo, se dipendesse da queste risorse non potremmo fare ricerca né scoperte”. L’Inmi Spallanzani non potrebbe isolare virus letali. “Utilizziamo metodi classici da un punto di vista diagnostico e terapeutico, metodi sempre più in disuso perché costosi”. I risultati, tuttavia, sembrano valere l’investimento.

La produttività dell’ospedale e il maggior compenso

La “quota Irccs” ricevuta nel 2018 è la più alta degli ultimi vent’anni. La capacità di alzare il premio è dipesa dalla produttività dell’ospedale, dal cosiddetto “fattore d’impatto”, ovvero il numero di citazioni sulle riviste scientifiche accreditate. Per gli altri istituti a carattere scientifico del settore gli assegni, invece, sono diminuiti. “Nel 1998 i centri riconosciuti nel novero Irccs erano 32, diciannove in meno rispetto ad oggi” ricorda Repubblica. “La torta, però, era la stessa: 159 milioni.”  

“Se ci trasferissimo domani in Germania, riceveremmo risorse pubbliche quattro volte più grandi”, riassume sempre il professor Ippolito. Il nostro Paese, investendo in ricerca l’1,32 per cento del Pil (che è la metà della media dei Paesi più industrializzati), non riesce a colmare una distanza di sapere e di brevetti ormai storicizzata.  

Di admin

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