Strage via D'Amelio: "Stato non processa sé stesso"
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“Pezzi di istituzioni hanno intavolato la trattativa, Stato non processa sé stesso”

Le parole di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino morto nella strage di via D’Amelio, confermano la tesi dell’abbraccio mortale delle istituzioni a Cosa Nostra.

“La verità su via d’Amelio si saprà, purtroppo, solo quando tutti gli attori di questa scellerata storia saranno morti…”.

Nell’anniversario della strage in cui morì il fratello Paolo e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Salvatore ricorda quei giorni. E lo fa davanti all’ulivo in via D’Amelio ai bambini e ragazzi presenti. Il fondatore del movimento “Agende Rosse” ha parlato di “depistaggio sulla strage”. Anzi “dei depistaggi” e di chi “non vuole che venga fuori la verità su quanto accadde quella maledetta domenica”.

“Tante volte si dice che lo Stato non può processare se stesso – dice Salvatore Borsellino – . E sono stati proprio pezzi deviati dello Stato che hanno intavolato la trattativa. E quella trattativa, con Paolo ancora in vita, non sarebbe mai potuta andare avanti. Paolo doveva morire per potere portare avanti quella scellerata trattativa e doveva anche sparire la sua agenda rossa”.

Il depistaggio comincia nel momento in cui un capitano dei carabinieri si allontana dalla macchina di Paolo con la sua borsa che poi viene rimessa nel sedile, sperando in un ritorno di fiamma dell’inferno che c’era in via D’Amelio. E sperando che andasse tutto perduto, compresa la borsa. Ma su questo non si è mai veramente indagato. Perché se è vero che il capitano Arcangioli è stato assolto dal reato di avere sottratto l’agenda, a mio avviso si sarebbe dovuto indagare su che fine abbia fatto l’agenda di mio fratello. E chi fine ha fatto prima che borsa venisse restituita alla moglie e alla figlia”.

Poi, parlando della relazione della Commissione regionale antimafia all’Ars pubblicata nei giorni scorsi dal Presidente Claudio Fava, secondo cui i depistaggi non sarebbero mai finiti, Salvatore Borsellino dice:

“Con Fava, purtroppo, ho avuto dei dissidi su certe cose, le ha avute anche con il mio avvocato. Con la Commissione antimafia, che qualche volta mi è sembrata un trampolino per le aspirazioni di chi vuole diventare Presidente della Regione, ma devo dire che in questo caso sono assolutamente d’accordo con Fava – ha spiegato – I depistaggi continuano, e lo dimostra ad esempio, quell’inquinatore di pozzi di Maurizio Avola, che non voglio neppure chiamare collaboratore di giustizia, e sicuramente non può essere chiamato pentito”.

Maurizio Avola è il killer che, raccontandosi nell’ultimo libro del giornalista Michele Santoro, si è autocollocato nel commando che il 19 luglio 1992 ha ucciso Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, ridefinendo i contorni della storia per com’era stata raccontata dal pentito Gaspare Spatuzza. Le rivelazioni dell’ex killer di Cosa Nostra sono state prontamente smentite dalla procura di Caltanissetta, ma anche dai figli di Paolo Borsellino e dallo stesso Claudio Fava, figlio del giornalista Pippo, ucciso da Avola.

“Il libro avallato da Santoro e intitolato ‘Nient’altro che la verità’, si dovrebbe chiamare invece ‘Nient’altro che un depistaggio’, perché di un depistaggio si tratta e di un depistaggio mirato che tende ad eliminare dalla scena della strage di via d’Amelio quei servizi che sicuramente erano presenti in questa via, pronti per fare sparire l’agenda rossa”. “Probabilmente anche il Castello Utveggio ha avuto un ruolo – ha affermato – Se non è stato azionato il telecomando da lì, sono tate coordinate le operazioni, come dimostrano le telefonate intercorse tra il Castello e via d’Amelio o le indagini di Gioacchino Genchi che furono fermate”.

L’anniversario della morte di Paolo Borsellino

Proprio oggi ricorre oggi il 29mo anniversario della strage di Via D’Amelio nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. 

Un fascio di luce tricolore ad avvolgere e abbracciare l’albero di ulivo di via D’Amelio che ricorda l’uccisione del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta. Il nuovo impianto di illuminazione artistica, proposto dal fratello del magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992, Salvatore Borsellino, e voluto dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, si accenderà stasera alle 21 alla presenza del sindaco.

L’attentato di via D’Amelio, ventinove anni or sono, venne concepito e messo in atto con brutale disumanità.

“A 29 anni dalla Strage di via D’Amelio, l’Italia non dimentica il giudice Paolo Borsellino. L’esplosione che il 19 luglio 1992 uccise il magistrato e gli agenti della scorta ci ammonisce che nella lotta alla mafia nessun compromesso può essere tollerato. A quasi 30 anni di distanza è inaccettabile che non si sia arrivati a una reale ricostruzione dei fatti. Solo la piena verità può consentire alla giustizia di liberare l’Italia da questo peso doloroso e insostenibile”. Lo ha dichiarato il Presidente del Senato Elisabetta Casellati.

“Quando commemoriamo uomini come Paolo Borsellino, il dovere della memoria non deve essere fine a sé stesso, ma deve sempre richiamare il valore di una salda responsabilità civile, ispirata ai principi della Carta costituzionale, che faccia di noi una comunità sempre più unita nella solidarietà, nella giustizia e nel progetto, irrinunciabile, di un Paese finalmente libero dalle mafie”. Lo afferma il presidente della Camera Roberto Fico.

1992

 Il 19 luglio 1992, alle ore 16:58, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H telecomandati a distanza, venne fatta esplodere in via Mariano D’Amelio al civico 21 a Palermo, sotto il palazzo dove all’epoca abitavano Maria Pia Lepanto e Rita Borsellino (rispettivamente madre e sorella del magistrato), presso le quali il giudice quella domenica si era recato in visita. L’agente sopravvissuto Antonino Vullo descrisse così l’esplosione:

“Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto…”

L’esplosione causò, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti.

Gli agenti di scorta ebbero a dichiarare che la via D’Amelio era considerata una strada pericolosa in quanto molto stretta, tanto che, come rivelato in una intervista rilasciata alla Rai da Antonino Caponnetto, era stato chiesto alle autorità di Palermo di vietare il parcheggio di veicoli davanti alla casa, richiesta rimasta però senza seguito.

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