Tutti quelli che hanno spianato la strada a Putin in Italia. Ecco chi sono
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Certamente Vladimir Putin non ha fatto tutto da solo. La sua espansione in Italia è stata agevolata da molti. Lo zar russo ha potuto contare su una fitta rete di amici.

Vladimir Putin in Italia ha ricevuto il supporto di politici, imprenditori, dirigenti, banchieri, diplomatici. Le bombe ucraine portano dentro la memoria di vent’anni di politica italiana al “servizio” di Mosca.

È dagli anni Sessanta che la Russia garantisce all’Italia un flusso costante di petrolio e poi anche di gas. L’energia si è trasformata in uno strumento per influenzare la politica europea. Creare dipendenze. E il capo di governo Berlusconi ha aiutato “l’amico Vlad” in questa missione.

Berlusconi e Putin

Potere e denaro hanno l’immagine simbolo nel novembre 2005. C’è Berlusconi insieme all’amico Putin e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Tutti e tre sono all’inaugurazione del gasdotto Blue Stream, un’infrastruttura strategica costruita da Gazprom con Eni. L’obiettivo è quello di portare il gas russo attraverso il mar Nero fino alle coste dell’Anatolia. Si tratta dello stesso gasdotto da cui adesso l’Eni, mentre i missili russi devastano l’Ucraina, si dice pronta a disimpegnarsi della quota del 50 per cento. Si tratta di un’opera, come ricostruisce L’Espresso, costata oltre 5 miliardi di euro. E realizzata nel 1997 quando a Palazzo Chigi c’era Romano Prodi.

Poi, nel 2005, quando il governo di Berlusconi era al tramonto, Paolo Scaroni prese la poltrona di Vittorio Mincato, che si era opposto al progetto di autorizzare Gazprom a distribuire gas in Italia con Bruno Mentasti, imprenditore e grande amico di Berlusconi. Alla fine l’operazione fallì, ma l’anno dopo Scaroni firmò comunque un’intesa con i russi per prolungare sino al 2035 i contratti di fornitura di gas all’Italia. Nel frattempo Ernesto Ferlenghi fu promosso alla guida degli uffici di Mosca al posto di Mario Reali, che aveva presidiato la sede russa prima di Montedison e poi dell’Eni dalla fine degli anni Sessanta, ai tempi dell’Unione Sovietica.

Le pressioni di Washington

Nel 2010 Wikileaks – con la diffusione di documenti originali – fa emergere i sospetti degli Stati Uniti sulle connessioni sempre più strette fra Eni e Gazprom. E le pressioni di Washington sulla multinazionale italiana per cambiarne traiettoria. Durante la gestione Scaroni, sostituto con Claudio Descalzi dal premier Matteo Renzi nel 2014 e salutato da Putin con un’onorificenza di Stato, il flusso di gas proveniente dalla Russia è sempre cresciuto. Niente è cambiato finché il ministro degli Esteri Luigi Di Maio la settimana scorsa si è precipitato ad Algeri. Il tentativo è quello di ricevere forniture supplementari il più in fretta possibile.

Eni in società con Rosneft

Oltre a consolidare la storica collaborazione con Gazprom, nella stagione di Scaroni, l’Eni si è anche messa in società con Rosneft, l’altro gigante energetico del Cremlino, per cercare il petrolio nell’Artico, nel mare di Barents. L’accordo, siglato a Mosca nel 2013 alla presenza di Putin, è stato vanificato poco dopo dalle sanzioni internazionali a Mosca in seguito all’annessione della Crimea scippata all’Ucraina. È invece in piena attività l’enorme giacimento di gas di Zohr, proprio di fronte alle coste egiziane. Nel 2016 l’Eni di Descalzi ne ha girato una quota del 30 per cento a Rosneft, agevolando l’ingresso nel Mediterraneo alla società affidata da Putin al suo antico sodale Igor Sechin.

Rosneft e gli affari italiani

Nel maggio 2014, fu il gruppo petrolifero di Sechin a soccorrere Marco Tronchetti Provera dopo la rottura con l’altro socio forte di Pirelli, la famiglia Malacalza. Due mesi dopo l’invasione della Crimea ordinata da Putin, la società petrolifera di Stato russa comprò per 552 milioni di euro il 13 per cento della multinazionale con base a Milano.

Nel 2015 i cinesi di ChemChina sono diventati i principali azionisti di Pirelli, ma i russi hanno conservato una quota del 6 per cento circa tramite una catena societaria che via Lussemburgo conduce a Mosca e a Sergey Sudarikov, amministratore di Region Group, la società che ha in dote il fondo pensioni di Rosneft.

Sudarikov da dicembre del 2019 non figura più tra gli amministratori della holding del Granducato a cui sono intestate le azioni Pirelli, ma è ben conosciuto in Italia nella rete di manager e finanzieri amici di Mosca. Per esempio da Antonio Fallico, un manager siciliano che si è trasferito a Mosca come capo di Banca Intesa Russia. Quest’ultima, al pari del concorrente Unicredit, da tempo opera al servizio delle aziende italiane che esportano e lavorano in Russia. Intesa si è inserita in un’operazione che vede la parziale privatizzazione di Rosneft, che nel 2017 ha rinvigorito le casse del Cremlino con almeno 10 miliardi di euro. Intesa finanziò con un maxi prestito di 5,2 miliardi di euro i due compratori, il gruppo svizzero Glencore e il fondo sovrano del Qatar che rilevarono una quota azionaria complessiva del 19,5 per cento.

Ernesto Ferlenghi con passaporto russo

A Mosca è una sorta di anfitrione di politici e imprenditori. Confindustria in Russia e in ciascuna repubblica ex sovietica è territorio di sua competenza. Ha ceduto la presidenza di Confindustria Russia a Gianni Bardazzi di Maire Tecnimont e ha accettato l’incarico di vice con deleghe esecutive. Accolse le guarnigioni berlusconiane e poi quelle assai più strampalate di Matteo Salvini. E omaggiò lo stesso ‘capitano’ leghista durante la visita di ottobre 2018.

Quella che per l’inviato speciale Gianluca Savoini si concluse all’albergo Metropol con una avventurosa trattativa per innaffiare di rubli i bilanci della Lega così da prepararsi alle elezioni europee. Ferlenghi all’epoca era concentrato sul Forum di dialogo italo-russo, una struttura per scambi di ogni tipo creata nel 2004 da Berlusconi con l’amico Vladimir. Ferlenghi si affidò a Salvini e al suo consulente al governo Claudio D’Amico, fondatore assieme a Savoini dell’associazione “Lombardia Russia”, e ottenne il posto a discapito di Luisa Todini (luglio 2019).

Lo scorso anno Ferlenghi ha organizzato un incontro per spingere l’Italia a utilizzare il vaccino Sputnik.

Il 21 febbraio, a due giorni dall’invasione russa in Ucraina, si è tenuta la riunione plenaria del forum con dieci tavoli tematici. In teoria la gestione è bilaterale, ma la comunicazione col gruppo Ima e il denaro con diverse aziende pubbliche – Novatek (gas naturale), Transneft (oleodotti), Sukhoi (aeronautica), Rzd (ferrovie), Tmk (siderurgia) – sono di marca russa.

All’edizione di ottobre ha ospitato Prodi, Scaroni, Tronchetti Provera, Emma Marcegaglia, Carlo Bonomi, Francesco Profumo, mezza nomenclatura moscovita e anche il qatariota Mohammed bin Jassim al Thani, il ministro degli Esteri. Un evento di prestigio con i contributi di Banca Intesa, Coeclerici, Generali, Accenture e i rubli di Gazprombank, Rosneft, banca Mkb, banca Vtb. Il manager Sudarikov, quello del fondo Region e dell’operazione Pirelli, è un vice di Fallico in “Conoscere Eurasia”. L’altro vice è l’oligarca Alexander Abramov del gruppo Avraz, grande produttore di acciaio.

I personaggi finiti al ‘servizio’ della Russia

L’ambasciatore Gianfranco Facco Bonetti (2001/06) il primo a trattenersi dalle parti del Cremlino una volta concluso il suo mandato al servizio del governo italiano. Poiché fu indicato rappresentante del Sovrano ordine di Malta. Invece Vittorio Claudio Surdo (2006/10), dopo la pensione dalla Farnesina, è diventato consulente di Enel per il mercato russo e di Bosco dei ciliegi della catena moscovita dei magazzini d’alta moda Gum e infine, ormai da oltre un decennio, è il lobbista in Italia e nell’Europa del sud per Lukoil, la seconda compagnia petrolifera del Paese. L’11 marzo 2021 Surdo era già da Roberto Cingolani, ministro per la Transizione ecologica, a perorare le cause di Lukoil.

L’ambasciatore Cesare Ragaglini (2013/2018) si è congedato la scorsa estate dal lavoro in Russia dopo la ben remunerata esperienza di vicepresidente della banca statale di sviluppo Veb. Ragaglini accettò l’incarico diplomatico a Mosca con qualche reticenza. Ma poi si ambientò, a tal punto da rifiutare il trasloco a Bruxelles dopo un negoziato non troppo soddisfacente con il premier Matteo Renzi. Nel discorso di saluto ai colleghi, nella solenne conferenza degli ambasciatori del 2017, Ragaglini giustificò l’occupazione russa della Crimea: Putin va compreso

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