Bomba sotto l’auto di Sigfrido Ranucci: attentato con metodo mafioso contro il conduttore di Report
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1. L’attentato: tempi, modo, conseguenze

Quella che doveva essere una notte tranquilla per la famiglia del noto giornalista d’inchiesta Sigfrido Ranucci si è trasformata in un gesto inquietante e pericoloso. Intorno alle ore 22, nella località di Campo Ascolano (tra Roma e Pomezia), è esploso un ordigno collocato sotto l’auto del conduttore di Report, parcheggiata davanti alla sua abitazione. 

Secondo i rilievi investigativi, lo scoppio è stato di grande potenza: l’auto è “saltata in aria”, con conseguenti gravi danni anche all’altro veicolo di famiglia, quello della figlia, parcheggiato accanto. Non si segnalano vittime né feriti, anche se la deflagrazione avrebbe potuto uccidere chiunque fosse passato di lì in quel momento.

La forza dell’esplosione ha causato danni anche alla palazzina vicina all’abitazione del giornalista, soprattutto all’esterno: cancelli, mura e strutture esterne risultano compromesse.

Sul luogo dell’evento sono intervenuti i Carabinieri, la Digos, la Polizia scientifica e i Vigili del fuoco, che hanno messo in sicurezza l’area e avviato i rilievi.

Nei primi accertamenti emerge che l’ordigno, presumibilmente rudimentale ma non banale, conteneva circa un chilo di esplosivo, ed è stato posizionato fra la vettura del giornalista e il cancello di casa, forse fra vasi o elementi esterni. Non sembra che sia stato attivato da remoto né da timer, ma piuttosto da miccia, il che suggella l’ipotesi di un’azione diretta piuttosto che remota.

Le indagini sono state immediatamente affidate ai magistrati della DDA / Antimafia di Roma, in particolare al pm Carlo Villani, coadiuvato dall’aggiunto Ilaria Calò, che procede per danneggiamento aggravato con il “metodo mafioso”. È stato avvisato anche il Prefetto competente. Le forze dell’ordine sono al lavoro anche per acquisire le eventuali immagini di telecamere nei pressi, benché la zona risulti priva di video-sorveglianza diretta nelle vicinanze immediate, complicando le attività investigative.

2. Le dichiarazioni di Ranucci e il rischio personale

Nelle ore successive all’accaduto, Ranucci ha rilasciato varie dichiarazioni, tra angoscia e determinazione, mettendo in luce come il gesto possa essere messo in relazione con il suo ruolo di giornalista d’inchiesta sotto tutela.

Ha affermato che sua figlia aveva parcheggiato la sua auto accanto a quella del padre poco prima dell’esplosione — una circostanza che lo ha profondamente scosso: «Hanno potuto ucciderla» sono le sue parole riportate da varie agenzie. Ranucci ha aggiunto che l’auto era stata posteggiata intorno alle 13:20 dal figlio, e che la deflagrazione è avvenuta ore dopo, ma in un contesto che ha suscitato forte allerta e preoccupazione.

Ha poi sottolineato che da anni è oggetto di minacce e intimidazioni: proiettili P38 ritrovati fuori casa, pedinamenti, dossieraggi, e in generale un clima di “isolamento e delegittimazione” nei suoi confronti. Da tempo vive sotto scorta (formalmente dal 2014, con forme di tutela precedenti) proprio per le minacce legate ai suoi lavori investigativi.

Riguardo alla natura dell’ordigno, ha detto che «potrebbe trattarsi di un ordigno rudimentale, ma ora bisogna vedere la natura dell’esplosivo». E ha ribadito che, con tutte le minacce che “riceviamo” (intendendo anche la squadra che collabora con lui), non è affatto semplice risalire alla matrice.

Pur in queste ore di tensione, ha dichiarato di sentirsi “tranquillo”, confidando nel sostegno dello Stato e delle istituzioni, e ha annunciato di aver sporto formale denuncia presso la sede dei Carabinieri della Compagnia Trionfale. Ha infine parlato del gesto come di un “salto di qualità” nelle intimidazioni nei suoi confronti, sottolineando che stavolta l’azione è avvenuta proprio davanti alla sua abitazione, dove in passato erano stati rinvenuti proiettili.

3. Il passato di minacce e la protezione

La storia professionale di Ranucci è da tempo segnata dalle inchieste sui temi forti del crimine organizzato, degli affari sporchi, del traffico illecito di rifiuti, delle collusioni tra potere e malaffare. Non è la prima volta che subisce intimidazioni: negli anni sono state registrate minacce varie, tra cui il ritrovamento di proiettili fuori dalla sua abitazione e il pedinamento di soggetti successivamente identificati. Già dal 2009 era oggetto di forme di tutela mobile; con l’aggravarsi della situazione, dal 2014 ha una scorta permanente.

In interviste precedenti, Ranucci ha ricordato che nel 2021, secondo sue ricostruzioni, ci sarebbe stato un piano per ucciderlo da parte di un narcotrafficante in contatto con la ‘ndrangheta, con l’intermediazione di killer stranieri incaricati di colpirlo in reazione a un servizio su rapporti tra politica e criminalità. In altre occasioni ha menzionato il coinvolgimento di ambienti della destra eversiva, collegamenti con cartelli internazionali e dossieraggi dall’estero come aggravanti del suo isolamento.

Nonostante tutto, Ranucci ha sempre affermato di voler proseguire il proprio lavoro con rigore e autonomia, ponendo l’inchiesta al di sopra delle pressioni esterne.

4. Reazioni istituzionali, solidarietà e implicazioni democratiche

La gravità dell’attentato non è passata inosservata: le principali forze politiche e istituzionali hanno espresso solidarietà a Ranucci e condanna verso il gesto intimidatorio. La Premier Giorgia Meloni ha parlato di “atto gravissimo” e ha riaffermato il valore della libertà di informazione come elemento fondante della democrazia. Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato il rafforzamento delle misure a tutela del giornalista. Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha definito l’attentato “un attentato allo Stato al 100%”. Organizzazioni di categoria come la FNSI, Usigrai e la stampa romana hanno indetto assemblee, presidi e manifestazioni simboliche davanti alle sedi Rai (via Teulada) per difendere la libertà di informazione e manifestare sostegno al giornalista.

In molti commenti si è evidenziato che un attacco di questo tipo non colpisce solo un individuo, ma mira a intimidire l’intero sistema dell’informazione e a segnare un precedente per la libertà civile.

All’interno del mondo dell’informazione è forte la mobilitazione: redazioni di telegiornali e programmi di approfondimento hanno espresso solidarietà, e in molti ambienti editoriali si è parlato della necessità di non arretrare di un passo davanti ai tentativi di intimidazione.

5. Interrogativi aperti e scenari possibili

Pur con tutte le cautele del caso, l’attentato apre diversi interrogativi, e alcune piste meritano di essere seguite con attenzione:

  • La matrice dell’attentato: l’uso del “metodo mafioso” da parte della Procura indica che gli inquirenti ritengono possibile un coinvolgimento della criminalità organizzata. Ma non è da escludere che il gesto possa rientrare in un’azione di intimidazione politica o istituzionale, legata al contenuto delle inchieste che Ranucci e la squadra di Report stanno conducendo.
  • Tempismo e nesso con le inchieste annunciate: Ranucci ha segnalato lui stesso che, pochi giorni fa, aveva annunciato i temi della prossima stagione del programma investigativo, fra cui ad esempio indagini su finanza, banche, eolico, scuola e fondi pubblici — argomenti potenzialmente sensibili. Quel calendario, secondo alcuni, potrebbe non essere un elemento casuale.
  • Tecnica dell’attentato e possibili errori degli autori: l’ordigno sembra rudimentale, ma potente. L’assenza di sistemi di attivazione remota o temporizzata potrebbe indicare un gesto “artigianale”, ma non per questo meno grave; la circostanza che non si riescano a risalire con facilità agli autori suggerisce che le modalità siano state calcolate per rendere difficili le indagini.
  • Il contesto del silenzio e dell’isolamento: Ranucci da tempo lamenta un clima di delegittimazione nei suoi confronti, una riduzione delle spazi di visibilità e un accerchiamento mediatico. In un contesto del genere, un gesto così plateale può avere anche una funzione simbolica di intimidazione.
  • Impatto sul giornalismo e sulla società civile: l’attentato pone un bivio: o si assiste a una risposta forte delle istituzioni, delle organizzazioni del mondo dell’informazione e della società civile, oppure il rischio è che il timore e l’autocensura incrementino.
  • Tempistiche delle indagini: gli investigatori dovranno individuare velocemente tracce nelle scorie dell’esplosivo, eventuali registrazioni video in zone limitrofe, testimoni oculari e possibili segni di pedalata (movimenti sospetti prima dell’evento). Il rischio maggiore è che le tracce vengano disperse rapidamente.

6. Il simbolismo del gesto: libertà di stampa sotto attacco

Un attentato contro un giornalista, specie uno che conduce inchieste su poteri oscuri e connivenze, rappresenta ben più di un fatto criminoso individuale. È un attacco simbolico al diritto alla informazione e al dovere della verità. In passato, molti giornalisti vittime di intimidazioni sono diventati simboli di resistenza, ricordati come testimoni della libertà.

È significativo che l’attentato giunga in un momento in cui temi come trasparenza amministrativa, fondi pubblici, legami fra politica e affari tornano al centro del dibattito pubblico. Chi usa bombe e ordigni vuole creare paura, vuole “segnare il territorio” e mettere sotto pressione non solo la vittima diretta, ma l’intero sistema dell’informazione e della democrazia.

In Italia, purtroppo, la storia ha già conosciuto esempi di attentati a giornalisti: da quelli diretti contro cronisti che indagavano sulla mafia, fino ad azioni eversive mirate a colpire voci scomode. Il confronto con quei precedenti è inevitabile: occorre riflettere sul fatto che, ogni volta che un giornalista viene colpito, viene messa alla prova la tenuta dello Stato di diritto.

Inoltre, il gesto avviene in un contesto internazionale dove l’attacco alla libertà di stampa è un fenomeno crescente, con tentativi di delegittimazione sistemica, pressioni economiche o digitali, e intimidazioni meno visibili ma altrettanto efficaci. Questo episodio in Italia richiama l’urgenza di difendere le condizioni stesse dell’inchiesta, del giornalismo autonomo e protetto.

7. Conclusione: che fare ora?

L’attentato contro Sigfrido Ranucci non può restare un episodio isolato. Serve una risposta forte e coordinata, che metta insieme:

  1. Le istituzioni: affinché garantiscano piena autonomia alle indagini, protezione adeguata al giornalista e impegno concreto nel punire chi ha osato colpire una voce critica.
  2. Il mondo dell’informazione: affinché non si lasci intimidire, ma faccia rete nel proteggere i giornalisti sotto minaccia e nel chiedere trasparenza sui processi.
  3. La società civile: con manifestazioni, presidi, sensibilizzazione sull’importanza della libertà di stampa come valore fondativo della democrazia.
  4. La solidarietà internazionale: perché l’Italia mostri di riuscire a reagire con fermezza anche alla pressione esterna.

Resta la speranza che dalle macerie di una notte d’incubo possa emergere una risposta chiara: che la minaccia non vinca, che la verità non sia cancellata e che ogni cittadino possa continuare ad avere il diritto di sapere.

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