Camici in Lombardia: indagato Fontana per “Frode in pubbliche forniture”
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L’accusa per il governatore della Regione Lombardia è pesante: “Frode in pubbliche forniture”. Con il cognato, Andrea Dini, che gestisce la Dama spa, e il dg dimissionario di Aria Spa (la Centrale acquisti regionale), Filippo Bongiovanni, secondo la Procura di Milano Attilio Fontana avrebbe agito sulla fornitura di camici durante l’emergenza coronavirus resa pubblica dalle inchieste di Report e del Fatto Quotidiano.

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Al centro delle verifiche dei pm e della Guardia di Finanza c’è il ruolo svolto dal governatore che, fino al 7 giugno, si era dichiarato estraneo alla procedura: “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Ma come racconta il Corriere della Sera, con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome, sul quale nel 2015 aveva fatto uno “scudo fiscale” per 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas, il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, allertato da un’intervista di Report quattro giorni prima, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta.

Si tratta della cifra corrispondente al mancato profitto del parente causato dal provvedimento che Fontana prenderà il giorno dopo. Ventiquattro ore dopo Fontana trasforma la vendita dei 75mila camici alla Regione in donazione. Non solo. Si specifica anche della rinuncia dell’azienda a farsi pagare dalla Regione i 49.353 camici e i 7.000 set già consegnati.

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Un’operazione che ha fatto scattare l’allarme nell’Unione Fiduciaria. La stessa incaricata da Fontana del bonifico e che così blocca il pagamento perché in base alla normativa antiriciclaggio. La Fiduciaria non ravvisa una causale coerente con il bonifico, disposto oltretutto da un soggetto “sensibile” per l’incarico politico. E così la fiduciaria, in segreto, fa una segnalazione di operazione sospetta all’Unità di informazione finanziaria di Banca d’Italia, che la gira alla Guardia di Finanza e alla Procura che iniziano a indagare sul ruolo di Fontana nella vicenda. I finanzieri si recano nella sede dell’Unione Fiduciaria, acquisiscono gli atti e il 9 giugno ascoltano il responsabile della Funzione antiriciclaggio.

L’11 giugno, Fontana chiede alla fiduciaria di non effettuare più il bonifico richiesto con grande urgenza. È lo stesso procuratore Romanelli a spiegare che “il fascicolo sulla fornitura dei camici viene aperto sulla base di una segnalazione di operazioni sospette trasmesso alla Procura di Milano dal nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza”.

L’ipotesi degli inquirenti è che il governatore lombardo, a differenza di quanto dichiarato fino al 7 giugno, sapesse da almeno tre settimane cosa stesse succedendo con l’affare camici. Secondo il Corriere, Fontana ha saputo fin da subito dell’affare, dato che a informarlo fu il suo assessore Raffaele Cattaneo, capo dell’unità di emergenza.

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Nel frattempo, il cognato invece di regalare ad Aria spa anche i 25mila restanti camici degli iniziali 75mila tramutati in donazione alla Regione, per rifarsi del mancato guadagno cercò di rivenderli alla casa di cura varesina Le Terrazze a 9 euro l’uno anziché 6.  

Rimane infine la questione della provenienza dei soldi per il bonifico. Questi sono stati recuperati da un conto svizzero di Fontana nella banca Ubs Ag completamente lecito. L’aspetto più delicato è che questi 5,3 milioni, senza che il governatore ne avesse mai parlato pubblicamente, sono frutto di una voluntary disclosure. Ovvero di una legge per favorire il rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero. Racconta il Fatto: “Nel settembre 2015, dopo la morte in giugno della madre Maria Giovanna Brunella, Fontana ‘scudò’ i 5,3 milioni, detenuti in Svizzera da due trust, creati alle Bahamas nel 2005 quando Fontana presiedeva il Consiglio regionale, e nei quali la madre dentista figurava ‘intestataria’, mentre Fontana risultava in uno il ‘soggetto delegato’ e nell’altro il ‘beneficiario economico'”.

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