Corte Costituzionale: aiuti sociali a condannati per mafia e terrorismo. Ma niente Reddito di cittadinanza
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Lo Stato non potrà più revocare trattamenti assistenziali o aiuti sociali ai condannati per mafia, terrorismo. A stabilirlo una sentenza della Corte Costituzionale.

La Corte ha dichiarato illegittimo un articolo di una legge del 2012 che regolava una serie di ammortizzatori sociali e che precludeva sostegni a chi si era macchiato di gravi reati. Relatore della sentenza è il giudice (nonché ex primo ministro) Giuliano Amato. La sentenza riguarda i condannati che stanno scontando la loro pena fuori dal carcere.

Secondo la Consulta “è irragionevole che lo Stato valuti un soggetto meritevole di accedere a tale modalità di detenzione e lo privi dei mezzi per vivere, quando questi sono ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali. Sebbene queste persone abbiano gravemente violato il patto di solidarietà sociale alla base della convivenza civile, vanno loro comunque assicurati i mezzi necessari per vivere”.

Per i giudici i questo divieto “contrasta con gli articoli 3 e 38 della Costituzione”.

Il primo stabilisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Ma anche il dovere della Repubblica “di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”; il secondo che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Dal momento che interviene su una norma del 2012, la sentenza non modifica invece la legge sul reddito di cittadinanza.

La sentenza sul Rdc

E proprio con la sentenza del 21 maggio scorso la Corte costituzionale promuoveva la sospensione dell’erogazione reddito di cittadinanza nei confronti del beneficiario o del richiedente a cui è applicata una misura cautelare personale (Corte costituzionale, sentenza 21 maggio 2021, n. 126).

“La disciplina del reddito di cittadinanza – spiega la Corte – definisce un percorso di reinserimento nel mondo lavorativo che va al di là della pura assistenza economica, a differenza di altre provvidenze sociali, come la pensione di inabilità civile o la pensione di cittadinanza, “la cui erogazione si fonda essenzialmente sul solo stato di bisogno, senza prevedere un sistema di rigorosi obblighi e condizionalità”. Il che spiega perché, per tali provvidenze, non è prevista la sospensione nel caso di misure cautelari personali.

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