Corte d'Appello dell'Aquila: spariti atti giudiziari della vicenda di Daniela Lo Russo
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Un atto grave quello accaduto alla Corte d’Appello dell’Aquila. Sottratti dagli uffici giudiziari atti di una vicenda legata alla vicenda di Daniela Russo. Ed è partita un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia.

L’oggetto della richiesta a firma del deputato Andrea Colletti è quello di chiedere come sia stato possibile accedere negli uffici della Corte d’Appello dell’Aquila e portare via atti giudiziari.

Il riferimento è alla vicenda di Daniela Lo Russo.

La donna è stata condannata in primo grado a 13 anni e 8 mesi di reclusione per il tentato omicidio del marito, al quale somministrava massicce dosi di coumadin, potente anticoagulante. Proprio Lo Russo nei giorni scorsi avrebbe rubato i fascicoli che la riguardano al Tribunale dell’Aquila. La Corte d’Appello dovrà decidere sul ricorso relativo alla sua condanna. La donna è stata arrestata proprio per quell’episodio.

“Nonostante le tempestive indagini delle forze dell’ordine che, anche grazie alle immagini delle videocamere di sorveglianza, sono subito riuscite a ricostruire l’accaduto – afferma Collettimi chiedo come sia possibile entrare negli uffici di un Tribunale per visionare degli atti e portare via i fascicoli indisturbati, per poi distruggerli. Si pone una importante questione di sicurezza e vigilanza all’interno degli uffici giudiziari. Su quanto accaduto e su questi aspetti il ministro deve fornire subito dei chiarimenti”.

La pianificazione dell’omicidio

“Alla luce delle risultanze dibattimentali, il grado di sviluppo raggiunto nell’iter criminis è tale da far ritenere come verosimile, se non addirittura certa, la realizzazione del delitto di omicidio. Non giunto alle estreme conseguenze per il provvidenziale intervento della polizia giudiziaria, del tutto casualmente venuta a conoscenza del piano criminoso, che ha portato all’arresto degli indagati interrompendone l’azione”.

È il passaggio più incisivo dei giudici che hanno condannato Daniela Lo Russo, di origine pugliese, e suo figlio Michele Gruosso, per il tentato omicidio del marito e patrigno, Antonio Di Tommaso. Oltre 13 anni alla donna, 12 anni e 8 mesi al figlio. “Lady Coumadin” aveva studiato, e stava attuando, un sistema per uccidere il marito ormai scomodo. Una sorta di delitto perfetto attraverso la somministrazione di una notevole quantità del farmaco Coumadin, che impedisce la coagulazione del sangue e avrebbe potuto portare a morte l’uomo.

E poi l’aggressione che madre e figlio avevano, secondo l’accusa, organizzato ai danni di Di Tommaso: botte con una mazza da baseball da parte di un colombiano assoldato per 500 euro da Gruosso.

Nelle oltre 60 pagine di sentenza i giudici hanno ripercorso tutta la vicenda, partita da alcune intercettazioni telefoniche tra madre e figlio.

“Emerge la piena consapevolezza della Lo Russo in ordine agli elevati rischi connessi all’uso del Coumadin, posto che, dopo aver ammesso di aver somministrato l’anticoagulante all’ignaro marito, ha dichiarato: ‘Il Coumadin non uccide nessuno se non dato in dosi stratosferiche’, dimostrando di essere perfettamente al corrente della necessità di sottoporsi a costante monitoraggio medico. Importanti anche i messaggi che madre e figlio si scambiano in occasione dell’aggressione al marito: “Deve andarci pesante”, dice al figlio parlando del colombiano assunto per l’aggressione.

Messaggi che “evidenziano la chiara volontà di entrambi gli imputati di organizzare l’aggressione a Di Tommaso, appositamente scoagulato con il Coumadin, proprio al fine di provocarne una emorragia fatale”.

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