Moscato e Mancuso. Giudici e clan
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Ben due collaboratori di giustizia di Vibo Valentia accusano alcuni giudici del distretto della Corte d’Appello di Catanzaro. Ai pm della Procura di Salerno, competente per l’inchiesta sulle toghe calabresi, i collaboratori fanno luce su alcuni aspetti dei magistrati che hanno prestato servizio anche a Vibo Valentia.

Raffaele Moscato (ex killer al vertice del clan dei Piscopisani) ha svelato che il defunto Davide Fortuna (ucciso sulla spiaggia di Vibo Marina dal clan Patania di Stefanaconi nel luglio del 2012) sarebbe stato in grado di sapere in anteprima di alcune indagini nei confronti del clan anche grazie ai legami di un proprio stretto congiunto con un giudice. Le accuse, come riferisce il Vibonese, sono da dimostrare.

Il maresciallo della Finanza

Piovono, poi, altre accuse nei confronti di un altro magistrato riferite gli atti dell’inchiesta “Rinascita-Scott”. L’altro collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, ha riferito ai giudici fatto che, al momento, sono secretati. Sempre secondo il Vibonese, gli atti dell’inchiesta “Rinascita-Scott” hanno portato alla contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti di Michele Marinaro, 51 anni, di Girifalco. Si tratta di un Maresciallo della Guardia di finanza in servizio alla Dia di Catanzaro e successivamente alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri a Roma. Il militare avrebbe, secondo l’accusa, fornito in modo sistematico ai vertici dei clan – per il tramite di un avvocato (arrestato) – notizie sulle attività investigative in atto nei confronti degli esponenti della ‘ndrangheta vibonese.

A giugno scorso “Mantella ha riferito che l’interrogatorio del 14 dicembre 2016 era stato condotto da due ufficiali della Guardia di Finanza di cui ha fornito la descrizione fisica spiegando che gli stessi ufficiali hanno continuato a fargli domande anche successivamente alla conclusione dell’atto, relativamente a vari soggetti, tra cui – fra l’altro – anche nei confronti dello stesso magistrato accusato da Mantella in altro interrogatorio”. Così come domande fuori dal verbale sarebbero state fatte dai due finanzieri a Mantella pure su avvocati e imprenditori.

Le accuse al giudice che “aggiustava”

Ad aprile 2019, Andrea Mantella ha dichiarato che era possibile arrivare al giudice della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, al fine di “aggiustare” alcuni processi. Dichiarazioni che potrebbero trovare clamorosa conferma dallo stesso magistrato arrestato che ha iniziato a svelare il “sistema” di corruzione in parte della magistratura del distretto di Catanzaro. “Denaro, regalie e viaggi donati dai mafiosi al giudice per ottenere provvedimenti giudiziari favorevoli nei processi d’Appello.

Mantella e il clan Bianco

Sono otto gli omicidi ai quali Andrea Mantella, all’epoca esponente di spicco del clan Lo Bianco di Vibo, ha confessato di aver preso parte in prima persona.

L’assassinio Manco e il processo “aggiustato”

Siamo alla fine del novembre 1992 quando Andrea Mantella e Francesco Scrugli uccidono Nando Manco e feriscono il fratello Mario all’interno del loro maneggio ubicato nei pressi del castello di Vibo. I due assassini sono accusati di aver sparato per non pagare quanto richiestogli dai Manco per “l’affitto” del cavallo nel loro maneggio. In primo grado beccano 14 anni con la premeditazione. In relazione all’omicidio, Mantella dichiara al Tribunale di Vibo Valentia che l’esame autoptico sul cadavere di Nando Manco sarebbe stato “falsato” con la complicità “del medico legale dott. Luciano”. Ai magistrati di Salerno Mantella spiega che i suoi familiari avrebbero pagato una somma di denaro ad un giudice per “aggiustare” il processo.

A consegnare il denaro al magistrato sarebbe stato un avvocato. “La proposta avanzata dal giudice era la seguente: o l’assoluzione per Andrea Mantella ma con una condanna pesante per il concorrente nel reato (ovvero Francesco Scrugli) oppure condannare entrambi a 12 anni. Mantella optò per tale ultima soluzione”.

Soldi, soldi, soldi. Ai giudici.

Per Mantella, dunque, il sistema per “aggiustare” i processi a Catanzaro era ben oliato. Enormi somme di denaro avrebbero sborsato i più potenti clan della ‘ndrangheta nei confronti di alcuni giudici: dalle cosche del Vibonese sino ai Grande Aracri di Cutro ed ai Giampà di Lamezia Terme. 

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