Il governo che non sapeva del Piano nazionale anti-covid
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La gestione della pandemia da parte del governo è approdata in tribunale. Nell’occhio giudiziario c’è il famoso “Piano nazionale anti-covid” di cui si parla da aprile.

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Ad aprile Andrea Urbani, dirigente del ministero della Salute e membro del Cts, rilascia un’intervista al Corriere della Sera in cui dispensa rassicurazioni. Al governo però sapevano che le cose stavano diversamente tanto che si sono attenuti ad un “piano secretato” ben preciso, in cui erano contenuti numeri sui contagi spaventosi. A non saperne nulla anche i governatori. I media lo chiedono a Roberto Speranza, che subito inizia a derubricarlo a semplice “studio di previsione”. Nessun piano, insomma: solo un’analisi.

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Siamo a maggio. Alcuni cronisti fanno un accesso agli atti e il ministero invia loro un altro studio, quello redatto da Stefano Merler, e per un po’ i due documenti si confondono. Speranza conferma ancora una volta che un “Piano” di risposta vero e proprio non esiste e che in realtà si tratta solo di un’analisi previsionale o poco più. Il documento invece c’è. Tanto che verrà pubblicato dal Corriere. Si tratta del “Piano nazionale sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19”.

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Nei verbali del Cts il “Piano” viene citato più volte e la sua approvazione, che risale al 2 marzo, è successiva di dieci giorni alla presentazione del rapporto Merler. Il documento fornisce indicazioni su come reagire ad un eventuale contagio: fare scorta di mascherine, aumentare le terapie intensive, incrementare i posti letto in ospedale. Il governo, dunque, aveva detto una bugia. E fece qualcosa di più grave: decise di non condividerlo con le regioni. “Un piano di emergenza sanitaria sicuramente non lo abbiamo ricevuto”, rivela nel Libro nero Vittorio Demicheli, membro della task force lombarda.

Accesso agli atti

Ad aprile infatti il deputato di Fdi, Galeazzo Bignami, fa un accesso agli atti per ottenere le circolari e il piano citati da Urbani nella famosa intervista. Ottiene le prime, ma sul “Piano” non riceve risposta. A agosto allora ci riprova: “Non ci hanno neppure risposto”, spiega Bignami al Giornale.it. “Già allora immaginavamo che con l’autunno saremmo arrivati a questo punto, col governo che abusa dei suoi poteri per gestire la pandemia. Se queste misure si basano su un qualche ‘piano’, noi vogliamo vederlo”. Scaduti i termini di 30 giorni per la risposta, i parlamentari decidono di avviare il ricorso al Tar. “Non stiamo impugnando il rifiuto a fornirci l’atto – insiste il deputato FdI – ma il fatto che non ci abbiano neppure risposto. Se hanno qualcosa da nascondere dovranno dirlo. Se non hanno nulla da nascondere, dovranno darci il documento”.

“Portiamo il governo in Tribunale – dice Bignami – perché non è ammissibile che nasconda dati, informazioni, notizie su cui poi impone agli italiani DPCM su DPCM con misure a dir poco discutibili. Conte vuole un atto di fede? Almeno faccia chiarezza con i parlamentari e fornisca loro i documenti”.

Dunque, a questo punto o il “Piano” al ministero non lo hanno, oppure ai ricorrenti arriverà lo stesso atto pubblicato dal Corriere.

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