Il piano Marshall, la pax americana e la reclamata sovranità su dal Molin e la Caserma Ederle
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L’America ha aiutato l’Italia ai tempi dell’occupazione. E, si dice, il Paese pare sconti ancora questo aiuto.

I manifesti affissi nell’immediato dopoguerra spiegavano agli italiani i dettagli del piano Marshall. Col quale gli Stati Uniti finanziarono la ricostruzione dell’Europa uscita in macerie dalla seconda guerra mondiale. L’America puntava, ovviamente, alla realizzazione di un’idea geopolitica. Geniale e lungimirante. Un investimento economico sulla pacificazione e la sicurezza di un continente portata avanti con la società dei consumi: del tutto e subito insomma. E così è stato. 

Per settant’anni abbiamo, in sostanza, seguito l’illusione del piano americano. O del sogno, dipende. Ma possiamo affermare che il progresso, la maturazione democratica del paese è avvenuto entro una cornice di sicurezza, garantita dalla deterrenza della Nato.

Dalle parti del Nordest c’è stata la cortina di ferro churchilliana, che divideva Gorizia da Nova Gorica, Trieste da Capodistria, dai sudditi prima di Mosca e poi del socialismo reale jugoslavo. Poi sono arrivate le due basi di Vicenza e di Aviano di cui i manifestanti ne reclamano la sovranità sui chilometri quadrati del Dal Molin e della Caserma Ederle.

Il discorso si Marshall

Il discorso con cui il Segretario di Stato George C. Marshall annunciò le linee generali di un piano di aiuti del governo degli Stati Uniti ai paesi europei piegati dalla guerra. Il piano sarebbe diventato lo European Recovery Program (ERP) ovviamente meglio noto come Piano Marshall, entrato il vigore il 3 aprile 1948.

“La verità è che, per i prossimi tre o quattro anni, i bisogni dell’Europa in materia di derrate alimentari e altri prodotti essenziali provenienti dall’estero – soprattutto dall’America – sono così superiori alla sua attuale capacità di pagamento che dovrà avere ulteriori e sostanziali aiuti, pena l’aggravamento della sua situazione economica, sociale e politica. Il rimedio consiste nel rompere il circolo vizioso e nel ripristinare la fiducia degli europei nel futuro economico dei loro paesi e dell’Europa tutta. Gli industriali e gli agricoltori debbono avere la possibilità e il desiderio di scambiare i loro prodotti con valuta il cui valore duraturo non sia in discussione”.

Ora, con la crisi Ucraina la domanda sorge spontanea: ci è servita la Nato?

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