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Qualche giorno fa Nino Di Matteo aveva parlato di “Tarlo” nella magistratura. Oggi, il giudice, torna a dare la stoccata finale al Csm: “L’appartenenza a correnti o a cordate è diventata l’unica possibilità di sviluppo di carriera e di tutela nei momenti difficili che il nostro lavoro ci presenta, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”.

“Oggi abbiamo una grande possibilità di invertire la rotta, forse è l’ultima, prima che ad approfittare della delegittimazione, e anche della rassegnazione di alcuni, siano altri, con riforme spacciate per efficienza, a renderci squallidi burocrati”, ha affermato ancora il magistrato, sottolineando che per “cambiare dobbiamo anche avete il coraggio e la lealtà di dire che quanto emerso dall’inchiesta di Perugia non ci deve stupire. Non c’è spazio per lo stupore, siamo tutti responsabili di questa situazioni, anche chi ha espresso in passato il proprio voto pensando di darlo a chi poteva rendergli la cortesia”.

Di Matteo, quindi, ha messo in evidenza la sua “consapevolezza su quanto in passato siano stati delegittimati e isolati i migliori di noi”, ricordando anche Giovanni Falcone e le “bocciature clamorose” da parte del Csm, ma “credo che la magistratura continui a rappresentare l’avamposto più alto in difesa della Costituzione, anche di fronte alla volontà di poteri striscianti, non solo illegali, di limitare la nostra autonomia e indipendenza e di renderci collaterali e serventi rispetto alla politica”.

Per il Csm “non serve una riforma punitiva”, ma bisogna “ridargli autorevolezza costituzionale senza distinzioni legate all’appartenenza, al gradimento politico, alla capacità dei singoli di tessere reti relazionali” ha aggiunto Di Matteo, “Non condivido le proposte di riforma sul Csm e il sorteggio dei togati. Rispetto i colleghi che per spezzare le patologie del correntismo hanno proposto il sorteggio, ma penso che sia una proposta incostituzionale ed è devastante che i magistrati, che decidono su ergastoli o su patrimoni, non possano avere l’autorevolezza per eleggere i rappresentanti al Csm”.

“Negli ultimi 15 anni la magistratura è cambiata, pervasa da un cancro che ne sta invadendo il corpo, i cui sintomi sono la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici, il collateralismo politico, la degenerazione clamorosa del correntismo” ha detto spiegando che la sua candidatura al Csm (le elezioni per due nuovi togati si svolgeranno il 6/7 ottobre) è legata al “bisogno di mettermi in gioco in un momento così buio, a disposizione di chi vuole dare una spallata a un sistema che ci sta portando verso il baratro”.

Il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, oggi sostituto alla Dna, ha sottolineato di non aver “mai pensato prima” di candidarsi a Palazzo dei Marescialli, “non sono mai stato iscritto a una corrente e sono sono intenzionato a farlo in futuro” e, ha aggiunto, “spero che la magistratura tutta, con questo voto, dimostri con i fatti di non volersi arrendere a prassi e a un sistema che la sta soffocando: una rivoluzione culturale, insomma, eleggendo chi ha dimostrato di essere estraneo e di voler contrastare le degenerazioni”. Se venisse eletto, l’attenzione di Di Matteo sarebbe rivolta, oltre che alla tutela dei giovani magistrati di prima nomina, alla “trasparenza” delle attività del Csm, alla “questione morale”.

Di admin

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