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Massimo Numa non è molto amato dai No Tav per una semplice ragione: è un giornalista che spara a zero sul movimento in maniera delirante. E il pacco bomba sarebbe un’occasione pubblicitaria.

Massimo Numa scrive per La Stampa e si occupa da tempo del movimento No Tav. Il giornalista ha spesso avuto posizioni opposte al movimento tali da influire sull’imparzialità del racconto dei fatti. Il movimento, tra i tanti comportamenti deontologicamente discutibili avuti dal giornalista, ne ha individuato uno molto grave in cui ha tentato di far passare una falsa notizia.

In alcuni incidenti avvenuti a luglio scroso Alessandro, un’attivista No Tav, viene ricoverato in ospedale per danni di un lacrimogeno ricevuto in pieno viso e sparato ad altezza uomo dalla polizia. Il racconto di alessandro non lascia spazio a dubbi: il suo racconto è pienamente compatibile con i danni subiti al viso, tra cui, fratture plurime a entrambi i seni mascellari. Il 26 luglio, lo stesso Alessandro, riceve una mail da un fantomatico attivista No Tav che si fa chiamare «Alessio, l’amico di Vale». Nella mail Alessio chiede a Alessandro come siano andati veramente i fatti in quanto:«alcuni dicono che correvi e ti hanno visto cadere, battere la testa a terra e che non sei stato colpito…non che cambi qualcosa, ci stavano gasando come topi». La mail si scopre, dopo la denuncia dei No Tav, essere partita da un computer con indirizzo IP 178.23.248.84 appartenente alla rete interna della “Editrice La Stampa S.p.A”. Il finto Alessio è un vero e proprio genio oltre che esperto conoscitore delle tecnologie informatiche. Nonostante Alessandro avesse risposto confermando ancora una volta quanto accaduto, Alessio torna all’attacco:«Anche se sei scivolato per colpa del lacrimogeno che ti è stato sparato per impedirti di documentare la loro violenza, anche a me è sembrato che eri caduto da solo…». Il 27 luglio ancora una mail a Alessandro:«Ho detto quello che ho visto, ti ho visto cadere e battere la testa e volevi salvare l’attrezzatura. Vicino avevi un lacrimogeno fumante». Alessio, ill sempre fantomatico attivista, questa volta l’ha fatta grossa dimenticando di camuffarsi e inviando la mail dall’indirizzo “massimo.numa@lastampa.it” sempre appartenente al pc sorgente de La Stampa. Numa, un genio fatto giornalista. E cosa avrebbe dichiarato “Numapompilio”? Che il tutto è stato fatto per non far risalire all’identità di Alessio per evitargli ritorsioni da parte dei No Tav. E se invece il tutto fosse stato deciso a tavolino solo per screditare il movimento? Numa è definito dai No Tav “velinaro della questura” e il timore è che possa essere stato adottato per “impallinare” gli attivisti. 

Nonnobertino sul sito dei No Tav scrive:«Mi aspetto che i solerti mastini di Caselli, una di queste mattine all’alba, mandino la digos a tirarmi giù dal letto per farmi un’altra perquisizione e per fregarsi, come hanno fatto con gli altri NO TAV, i telefoni, le macchine fotografiche, i computer, gli scanner e ogni altro oggetto con una scheda elettronica dotata di seppur minima memoria, per pura vendetta e per dimostrare che loro possono angariare i cittadini come e quando vogliono». Esistono, quindi, filmati e foto che non devono essere diffuse? Perché? I cittadini devono credere solo ai portavoce delle questure? Non può esserci un’altra voce che racconta, anche in maniera estrema e sprezzante, che la Tav è un’opera inutile? «È più semplice, più remunerativo, più utile alla carriera non fare domande, sbattere i “presunti mostri” in prima pagina e scrivere di COMPLOTTI – scrive ancora Nonnobertio – mentre ci si dimentica che ci sono NO TAV ovunque, anche a Susa. Magari non vengono alle manifestazioni, ma amano la loro valle e non vogliono che venga distrutta. Poi a Susa conosco un sacco di gente, anche fra i SI TAV, magari gente incazzata perché sperava di fare lauti affari con l’opera e invece è stata tagliata fuori, o gente che per farsi bello parla, parla, parla… ».

Noi ci chiediamo: perché si gioca su questi livelli infantili e lo Stato non ci spiega perché la mafia è entrata nel business Tav? Perché nessun organo ci dice nomi e cognomi dei boss che stanno mettendo le mani su questa opera? Il tricheco vice presidente del Consiglio nonché minstro dell’Interno perché non ci spiega come stanno realmente le cose al posto di fare spettecoli in Val di Susa? 

Strano che il Governo “Alf-Etta” non si sia accorto che il triplicatore di incarichi e stipendi Mario Virano, non stia svolgendo in maniera non particolarmente eccelso il proprio lavoro. Virano è:

  1. Commissario straordinario del Governo per la Torino Lione
  2. Presidente dell’Osservatorio sulla Torino Lione
  3. Capo della delegazione italiana della Conferenza Intergovernativa Italia-Francia, organismo che ha in mano la gestione della parte  transnazionale dell’opera.

Virano, in sostanza, controlla se stesso. Virano ammette di essere al corrente dei costi ingiustificati del cantiere della Maddalena ed in particolare delle baracche da cantiere, delle torri faro, dei cancelli etc. che sono oggetto di numerose delibere nei Comuni della Valsusa, ma a domanda precisa non sa rispondere. Alfano-tricheco potrebbe illuminarci su questo aspetto? Sarebbe nostro dovere sapere perché dobbiamo pagare un controllore e controllato con tre incarichi e con tre stipendi?

«L’Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai tempi dalla costruzione dell’Autostrada del Sole e della ricostruzione post-terremoto in Irpinia». Lo scrive Roberto Saviano su Repubblica.it e, pensiamo, ci sia da credergli. Poi aggiunge:«Le mafie si presentano con imprese che vincono perché fanno prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al nord e curricula puliti, e il flusso di denaro destinato alla Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento, aumentandone la capacità di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico». Saviano spiega il metodo mafioso:«Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d’appalto in virtù della presunta urgenza dell’opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d’opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La storia dell’alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell’edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni». Quante attività, anche commerciali, conosciamo che adottano questo metodo? Nel 1991 a Pescara fu ucciso l’avvocato Fabrizio Fabrizi con 5 colpi di pistola. Fabrizi era a conoscenza dei grossi movimenti economici che, politica e grosse lobby, stavano mettendo in atto per produrre e ripulire denaro. Il motore dell’operazione sarebbero stati i centri commerciali.

La Edilcostruzioni di Milano, che lavorava in subappalto alla Tav, era legata a Santo Maviglia narcotrafficante di Africo. Sessanta, invece, sono le cosche che girano intorno ai subappalti nell’edilizia Emiliano-Romagnola. E, le stesse cosche, negli anni 80/90 hanno messo le mani sulla metanizzazione per poi investire con fondi di Massimo Ciancimino. A maggio di quest’anno sono stati resi pubblici i sequestri dei beni della famiglia Casarmonica: 1,5 milioni di euro. Raffaele Casamonica, abruzzese, è il capo della famiglia considerata la più importante della malavita romana.

Sulla Tav Fiat IRI ed ENI (i General Contractor) sono i concessionari con tutti i poteri del committente pubblico nella gestione dei subappalti senza, però, la gestione diretta dell’opera. Il genio che partorì tale idea fu Cirino Pomicino. L’interesse, per loro, è di far durare l’opera il più a lungo possibile. Dal 1991, anno in cui è stata presentata l’opera, ad oggi si è passati da un costo di 26.180 miliardi di lire a 80 miliardi di euro. 

Che valore può avere, per persone ben informate, un articolo di Numa o un editoriale di Calabresi su La Stampa? Pressoché zero.

di Antonio Del Furbo

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