Palamara: "Di Matteo non andò al Dap per volontà del 'Sistema'"
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Nino Di Matteo non doveva essere il direttore al Dap riferisce Palamara. E a deciderlo non è stato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ma quel sistema che agisce nell’ombra italiana. E anche Renzi fu bloccato dal sistema quando voleva nominare Nicola Gratteri al ministero della Giustizia.

“A non volere Di Matteo al Dap fu il sistema”.

Così Palamara a Non è l’arena. Una vicenda, quella della nomina al Dap che, ancora oggi non trova una giustificazione. Il ministro Bonafede più volte interrogato, non ha mai risposto alla domanda sul perché del cambio idea nel giro di 24 ore.

L’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati parla del sistema, ovvero delle correnti della magistratura che avrebbe influenzato la politica italiana e il mondo degli affari in questi anni. In sostanza la “storia segreta della magistratura italiana”.

Nel libro di Palamara e Sallusti c’è “un mix esplosivocome nel caso di Salvini, indagato per sequestro di persona per il blocco dei porti agli sbarchi di immigrati”. Per Palamara quell’estate gli ingredienti c’erano tutti: dal ministro degli Interni di destra, “al povero immigrato maltrattato”, fino “alla sinistra che cerca la rivincita dopo la batosta elettorale”. Anche in questo caso il giudice non può negarlo: “Il piatto è ghiotto e la magistratura scende in campo”.

Ma Palamara fa anche i nomi: “Il magistrato più attivo di tutti è Luigi Patronaggio, procuratore di Agrigento“. In lui il magistrato ravvisa qualcosa di insolito: “Tanto attivismo non è da lui. In quattro anni di Csm non era mai capitato che ci dovessimo rincorrere sui telefonini da una spiaggia all’altra d’Italia. Perché tanta fretta?”. Un intreccio letale che ha rischiato di mettere il leader della Lega alla sbarra se non fosse che il Senato ha votato “no” all’autorizzazione a procedere.

Bonafede ha comunque confermato che su Di Matteo ci fu “un mancato gradimento alla nomina al Dap”.

“Non è una vicenda personale, ma istituzionale”, accusa Di Matteo. E, in commissione parlamentare antimafia, rilancia: “Nel momento del dietrofront mi fece chiaramente intendere che c’erano stati dinieghi o mancati gradimenti. A chi si riferisse può dirlo solo lui”. Poi rivela: “Prima delle elezioni del 2018, in due occasioni, Luigi Di Maio mi chiese se ero disponibile a fare il ministro; la prima volta dell’Interno o della Giustizia, la seconda dell’Interno. Diedi una disponibilità di massima, ma poi nessuno mi ha più chiamato”.

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