Popolare Bari: arrestato di nuovo Jacobini. La banca era la "casa del debito"
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La Guardia di Finanza di Bari ha arrestato per concorso in bancarotta fraudolenta Gianluca Jacobini, ex condirettore generale della Banca popolare di Bari. Notificato anche un provvedimento di interdizione per il padre Marco Jacobini, ex presidente dell’istituto di credito barese.

Per Jacobini il gip ha disposto gli arresti domiciliari. L’inchiesta riguarda il fallimento di alcune società del gruppo imprenditoriale Fusillo di Noci. Gianluca Jacobini torna così in detenzione dopo poco più di due mesi. L’8 luglio era stata revocata a lui e al padre Marco la precedente misura cautelare.

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Nell’ambito dell’inchiesta sul crac delle società Fimco e Maiora del Gruppo Fusillo di Noci sono sei le persone arrestate. Agli arresti domiciliari, su disposizione del gip del tribunale di Bari Luigia Lambriola, sono finiti oltre a Jacobini, gli imprenditori Giacomo Fusillo, Vincenzo Elio Giacovelli, Girolamo Stabile. Quest’ultimo gestore di fondi di investimento con sedi in Lussemburgo e Gibilterra. Arrestati anche Salvatore Leggiero, legale rappresentante e amministratore unico della Roma Trevi srl, e Nicola Loperfido, responsabile della direzione business della Banca popolare di Bari.

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Agli indagati sono contestati a vario titolo numerose condotte di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. Gli ex amministratori dell’istituto avrebbero concesso alle società in dissesto del gruppo Fusillo sconfinamenti sui conti correnti e linee di credito per decine di milioni di euro.

Per i due Jacobini il gruppo Fusillo era “il principale cliente affidato dalla banca” e “facendo valere la propria influenza dominante sugli organi istruttori e deliberanti della banca – si legge nell’imputazione – , concedevano e reiteratamente prorogavano nuovi affidamenti, nella consapevolezza della loro inesigibilità”. “L’esposizione complessiva dell’istituto di credito barese rispetto al gruppo Fusillo – si legge negli atti – ha progressivamente raggiunto la ragguardevole cifra di 340 milioni di euro” e, “in ragione della longevità e preminente rilevanza economica della posizione in questione”, i rapporti con il gruppo Fusillo erano “curati direttamente e costantemente dei vertici apicali dell’istituto bancario, in persona degli indagati Marco e Gianluca Jacobini, per anni leader incontrastati in seno al management della Banca Popolare di Bari”.

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Agli indagati vengono contestate molte operazioni societarie “straordinarie” prima e poco prima lo stato di insolvenza. Il fine era di “distrarre” o “dissipare” beni immobili dal patrimonio delle imprese Fimco e Maiora group il cui valore è stato stimato in 93 milioni di euro. Operazioni riuscite, stando alla procura di Bari.

A due indagati, Fusillo e Gicovelli, sono stati contestati i reati di autoriciclaggio. Al solo Fusillo, anche il reato di riciclaggio. I beni, dopo essere stati sottratti al patrimonio delle fallite, “sono stati trasferiti a soggetti giuridici appositamente costituiti dagli stessi indagati al fine di preservarli da possibili aggressioni dei creditori”.

Quattro le operazioni analizzate dalle Fiamme gialle: l’operazione Kant con cui la Maiora per nascondere lo stato di insolvenza ha simulato il conferimento di quote di due società controllate con debiti verso Pop Baru nel fondo di investimento Kant capital Fund strategic business pcc limited con sede in Gibilterra, riconducibile a Stabile “a fronte della ricezione di quote dello stesso fondo del valore nominale di 20 milioni di euro“.

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Con l’operazione Trevi è stato ceduto un immobile nel centro di Roma, Palazzo Trevi. L’immobile di proprietà della Fimco del gruppo Fusillo di Noci. Il bene sarebbe stato venduto al prezzo di 40 milioni di euro tra il 2016 e il 2017 alla società “Roma Trevi” dell’imprenditore fiorentino Salvatore Leggiero. Dopo che la Fimco aveva ottenuto da Banca popolare di Bari linee di credito per lo stesso importo proprio per l’acquisto e ristrutturazione dell’immobile.

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Per il giudice per le indagini preliminari, Luigi Labriola, la Popolare di Bari era modellata sui propri interessi. Il pm di Bari, Lanfranco Marazia, scrive che è una storia “che possiamo apostrofare come una gigantesca ‘casa del debito’“. I cui mattoni nel corso degli anni sono stati “una miriade di sospette operazioni straordinarie intercompany, quasi sempre artificiosamente sorrette da perizie di comodo, redatte da professionisti compiacenti” dei gruppi Fimco e Maiora, entrambe fallite nel settembre 2019. “Lasciando sul campo qualcosa come 430 milioni di euro di debiti consolidati, di cui oltre 78 milioni di pendenze accertate nei confronti del fisco e degli enti pubblici previdenziali”.

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Un collasso, descritto nelle informative della Guardia di Finanza, voluto dagli imprenditori, con la complicità dei vertici dell’istituto. Asciugate le società di quote ma anche di alberghi e palazzi. Tra questi spunta Vito Fusillo, già amministratore delle fallite Fimco spa e Maiora Group spa. Per il gip “assoluto ideatore delle operazioni finanziarie contestate” e per la procura, guidata da Roberto Rossi, “il partner bancario dominante”.

Le quattro operazioni

Il valore economico dei beni delle società del gruppo Fusillo “distratti” o “dissipati” tra il 2016 e il 2019 è stimato in 93 milioni di euro. Quattro le operazioni. Oltre alla cessione di Palazzo Trevi in centro a Roma, c’è l’operazione “Kant”, “Cni-Mcg” e “Soiget”. Tutte relative alla dismissione di partecipazioni e patrimoni aziendali. Tra questi anche prestigiosi alberghi e strutture turistiche quali “La Peschiera”, “Il Melograno” e “Cala Ponte” a Polignano a Mare.

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Sulla gestione della posizione finanziaria del gruppo Fusillo si sono consumate le peggiori nefandezze dell’istituto di credito” si legge nell’ordinanza. Si descrive un “ruolo di primo piano” assunto dalla Popolare di Bari come “ideatrice delle iniziative“, mettendo “a disposizione delle società veicolo la leva finanziaria per acquisire i cespiti oggetto di alienazione da parte delle società del gruppo Fusillo, con mutui fondiari grazie ai quali si assicurava l’iscrizione di ipoteca in proprio favore“.

I vertici della banca

Gianluca, classe 1977, dominus dell’istituto con la carica di condirettore generale, per il giudice “ha dimostrato nel lungo periodo di gestione dell’istituto di credito, a dispetto della lunga attenzione degli organi di sorveglianza (Banca d’Italia) una forte ingerenza nelle dinamiche gestionali e nelle operazioni del gruppo Maiora, elargendo credito, in dispregio delle più elementari regole in materia“. Poi c’è il responsabile della direzione business della Banca popolare di Bari, Nicola Loperfido.

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