Mose
Spread the love

“Se, per ipotesi, avessero chiuso le paratie del Mose i danni che poi si sono registrati non ci sarebbero stati”. A dirlo all’Agi è Luigi D’Alpaos, professore emerito dell’Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università degli studi di Padova (ICEA).

Luigi D’Alpaos rappresenta la massima autorità in materia di ingegneria idraulica, da diversi anni autore di molti studi, ricerche e pubblicazioni sulla laguna di Venezia.  

“Se fosse stato attivo il Mose avrebbe dovuto entrare in funzione non appena l’altezza di marea prevista avesse superato i 110 cm sullo zero mareografico di punta della Salute” spiega il professore. Uno sbarramento fatto manualmente con sei ore di anticipo, il tempo occorrente per la procedura.

Con le paratie mobili alzate la laguna è sigillata.

Non si entra e non si esce ma non è un problema per il professore. Però c’è semmai un altro problema che secondo me è stato sottovalutato in fase progettuale, ed è legato al comportamento della laguna quando le bocche di porto sono chiuse. Perché è un comportamento molto diverso da quello con bocche aperte. Con riferimento proprio all’azione del vento. L’azione del vento, oggi come oggi – a bocche aperte – è in qualche modo mitigata perché se per esempio spira un vento di bora che tende a “insaccare” le acque verso Chioggia, si manifesta nella laguna una circolazione secondaria che vede acqua entrare dalle due bocche di Lido e di Malamocco e uscire attraverso la bocca di Chioggia.

Il Mose non si sarebbe dovuto fare perché incompatibile con l’ambiente

Le portate d’acqua in gioco possono essere consistenti, perché potrebbero arrivare anche a 3.000 metri cubi al secondo. E qualora tutte le bocche fossero chiuse questa circolazione, che vede acqua entrare dal Lido e Malamocco e uscire da Chioggia, evidentemente non si realizza più.”

Le conseguenze possono provocare l’innalzamento della marea, a Chioggia, di gran lunga superiori a quelli che si manifestano attualmente, anche a Venezia. Va sotto Chioggia. E questo è un effetto collaterale e anche un aspetto che i progettisti non hanno valutato attentamente.”   

Quali sono le controindicazioni del Mose?

“È una struttura malpensata. Nel senso che è evidente che per difenderci dalle acque alte eccezionali non c’è soluzione diversa, oggi come oggi, da quella di intercludere la laguna rispetto al mare. E cioè chiudere le bocche di porto. Ma la soluzione strutturale che è stata scelta è una soluzione che pone dei problemi, innanzitutto di carattere strutturale di funzionamento.”

Dunque, “quando la frequenza delle onde che incidono su queste barriere è confrontabile con l’oscillazione propria di queste strutture, si va verso una situazione in cui le oscillazioni stesse tendono ad aumentare. Quindi abbiamo un fenomeno estremamente pericoloso. Il rischio, perciò, è che queste barriere, che sono indipendenti una dall’altra, potrebbero disarticolarsi. Ed è un problema che è stato sollevato e del quale il Consorzio Venezia Nuova, concessionario dell’opera, non ha mai dato dimostrazione della non sussistenza del problema stesso.” L’altro problema riguarda la scelta per lo sbarramento delle bocche di porto che, in prospettiva, presenterebbe segni evidenti di innalzamento del livello medio del mare.

“Tutto questo mina alla base l’idea intorno alla quale girava l’ipotesi di chiusura delle bocche di porto”

“Il motivo – spiega D’Alpaos – è che quando fu presentato questo progetto la finalità sbandierata era quella di difendere i centri storici dalle acque alte, favorire l’ambiente lagunare, salvaguardare la portualità. Situazioni che diventeranno problematiche, in prospettiva, e in previsione di un innalzamento del livello medio del mare, perché non potranno essere perseguite insieme.”  

Le bocche di porto in un anno dovrebbero rimanere chiuse 5 o 6 volte. Con 50 centimetri di innalzamento del livello medio del mare gli interventi necessari su queste maree che vanno dal 2000 al 2018 sarebbero stati 350 all’anno. Una chiusura al giorno.

L’altro punto è il costo di esercizio del Mose.

“Nelle riunioni a Palazzo Chigi sostenevano che sarebbero stati 10-15 milioni all’anno. Noi dicevamo che non era possibile perché ritenevamo che si andasse su un rapporto di costi intorno all’1-2% del costo di realizzazione. Un numero che non aveva davvero senso. Ma da un paio d’anni a questa parte il Provveditorato alle opere pubbliche ha ammesso che potrebbero essere più di 100-120 milioni i costi di manutenzione all’anno.”

Di admin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Segnalaci la tua notizia