Inchiesta Covid a Bergamo: le accuse a Conte, Speranza, Fontana
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Gli atti di accusa sono precisi e circostanziati, con date e atti ufficiali, nomi di vittime e responsabilità singole. Ben 35 pagine di avviso di conclusione delle indagini della procura di Bergamo sulle morti per Covid nei primi mesi tragici della pandemia nel 2020 sono riportati tutti i capi di accusa per i 19 indagati.

Inchiesta Covid a Bergamo. Per due di loro, l’allora premier Giuseppe Conte e l’allora ministro della Salute Roberto Speranza, gli atti sono stati mandati al tribunale dei ministri competente per la loro valutazione.

Tutte le accuse

Giuseppe Conte, Roberto Speranza, Claudio D’Amario, Attilio Fontana, Angelo Borrelli, Luigi Cajazzo, Giulio Gallera, Silvio Brusaferro, Giuseppe Ruocco, Francesco Maraglino, Andrea Urbani, Franco Locatelli, Giuseppe Ippolito, Mauro Dionisio: tutti indagati con l’accusa di omicidio colposo plurimo per aver causato la morte di 57 persone in provincia di Bergamo tra il 26 febbraio e il 5 maggio 2020.

Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia.

Indagato per aver omesso di adottare misure di contenimento e gestione adeguate e proporzionate all’evolversi della situazione. In particolare l’istituzione di una zona rossa nei comuni della Val Seriana nonostante avesse “piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore R0 avesse raggiunto valore pari a 2 e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà”.

E ancora per aver richiesto al presidente del Consiglio il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in regione Lombardia al 27-28 febbraio non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana. E dunque non richiedendo ulteriori e più stringenti misure di contenimento. Cagionava così la diffusione dell’epidemia in Val Seriana mediante un “incremento non inferiore a 4.148 contagi pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo”, di cui 55 ad Alzano e 108 a Nembro rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo se fosse stata estesa la zona rossa dal 27 febbraio. Con l’aggravante di aver causato la morte di più persone.

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Angelo Borrelli, capo del dipartimento della Protezione civile e gestione dell’emergenza sanitaria

Luigi Cajazzo, direttore generale della Sanità di Regione Lombardia deputato all’attuazione del piano pandemico regionale

Giulio Gallera, assessore al Welfare deputato all’attuazione del piano pandemico regionale

Claudio D’Amario, direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute e direttore del centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, ovvero colui che doveva applicare il piano nazionale di risposta per la pandemia

Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore della sanità e componente del Comitato tecnico scientifico

Tutti indagati a vario titolo per aver omesso, nonostante la raccomandazione dell’Oms del 5 gennaio 2020, l’allerta di Oms e della Paho del 20 gennaio 2020. E poi l’allerta Oms del 23 gennaio e di altri atti conseguenti l’attuazione delle prescrizioni per un piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale (D’Amario, Brusaferro e Borrelli) e l’attuazione delle prescrizioni del piano pandemico regionale di preparazione e risposta per la pandemia (Gallera e Cajazzo). E ancora Brusaferro nel proporre di non dare attuazione al piano pandemico prospettando azioni alternative così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste. Borrelli e D’Amario nel non adottare azioni di sorveglianza sui voli indiretti per l’Italia, limitandosi a quelli diretti la Cina, mentre il solo Borrelli nel disporre ordinanza con cui si affidava all’Istituto superiore della sanità la sorveglianza epidemiologica solo a partire dal 26 febbraio.

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Ancora, D’Amario, Brusaferro e Borrelli sono indagati per non aver verificato le dotazioni di Dpi (Mascherine e simili) per il personale sanitario inoltrando solo il 4 febbraio specifica richiesta alle Regioni sulle giacenze e sulle scorte e nel non provvedere al conseguente e tempestivo approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte.

Claudio D’Amario, Silvio Brusaferro, Mauro Dionisio, componente del Comitato tecnico scientifico e direttore dell’ufficio di coordinamento degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute, Giuseppe Ippolito, componente del Comitato tecnico scientifico e direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma, Franco Locatelli, componente del Comitato tecnico scientifico nonché presidente del Consiglio superiore di sanità, Agostino Miozzo, componente del Comitato tecnico scientifico istituito dalla Protezione civile e coordinatore del medesimo, Francesco Maraglino, componente del Comitato tecnico scientifico nonché dell’Ufficio V della direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, componente del Comitato tecnico scientifico e segretario generale del ministero della Salute, Andrea Urbani, componente del Comitato tecnico scientifico nonché direttore generale per la programmazione sanitaria del ministero della Salute.

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Sono tutti indagati per la colpa consistita nel valutare come non sussistenti le condizioni per l’estensione della cosiddetta zona rossa a ulteriori aree della regione e in particolare ai comuni della Valle Seriana tra i quali Alzano Lombardo e Nembro nonostante nel corso della riunione del 26 febbraio 2020 avessero dato atto dei casi positivi provenienti da aree della Lombardia diverse dalla prima e unica zona rossa a Codogno e nei comuni della Bassa Lodigiana.

Di non averlo fatto neanche il giorno dopo, nonostante un rapporto aggiornato che indicava l’aumento dei casi. Per essersi limitati a proporre il 28 febbraio esclusivamente “misure integrative ispirate a un principio di proporzionalità e adeguatezza” senza proporre l’estensione delle misure della zona rossa e nel limitarsi a proporre anche il 29 febbraio e il 1° marzo misure “meramente integrative”. Tutto questo cagionava un “incremento non inferiore a 4.148 contagi pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo”, di cui 55 ad Alzano e 108 a Nembro. Con l’aggravante di aver causato la morte di più persone.

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Francesco Locati, direttore generale della Asst di Bergamo Est e Roberto Cosentina, direttore sanitario della Asst di Bergamo Est: indagato per non aver verificato la disponibilità di Dpi (guanti, mascherine, ventilatori eccetera) all’interno degli ospedali della Asst e in particolare presso il Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo e per non aver fatto screening radiologico-tac ad almeno 25 pazienti ricoverati al 23 febbraio 2020 che manifestavano insufficienza respiratoria. Con l’aggravante di aver causato la morte di più persone. Indagati per aver attestato il falso in atto pubblico perché in una nota ufficiale attestavano: “Non appena avuto il sospetto e la successiva certezza della positività al tampone sono state immediatamente adottate le misure previste”, circostanza rivelatasi falsa.

Giuseppe Marzulli, dirigente medico del presidio ospedaliero di Alzano Lombardo e di Gazzaniga: indagato per non aver verificato il piano pandemico, il fabbisogno, le scorte, stoccaggio e la distribuzione dei presidi di protezione (Dpi); nel non vigilare sull’uso dei dispositivi di protezione causando così la diffusione del Covid con un incremento stimato del contagio per 35 sanitari e un impiegato poi deceduto. Con l’aggravante di aver causato la morte di più persone.

Massimo Giupponi, direttore generale dell’Ats di Bergamo: indagato perché “indebitamente rifiutava atti del suo ufficio o comunque rimaneva inerte senza assumere tempestivamente atti del suo ufficio che, per ragioni di sanità pubblica, dovevano essere adottati senza ritardo”. Indagato per falso in atto pubblico in risposta all’interrogazione del consigliere regionale Niccolò Carretta.

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Il 28 maggio 2020 rispondeva attestando falsamente che il 23 febbraio 2020 “l’andamento dei ricoveri è stato oggetto di monitoraggio da parte di questa agenzia, che ha accertato il trasferimento dei pazienti transitati dal pronto soccorso di Alzano alle aree di degenza degli altri presidi della stessa Asst e la successiva creazione di aree di isolamento per pazienti che accedevano al pronto soccorso con sintomi sospetti in attesa dell’esito del tampone”, mentre in realtà i pazienti positivi erano rimasti stazionati nel pronto soccorso dello stesso presidio per diversi giorni;

e ancora sosteneva che “dal 23 febbraio ha immediatamente adottato le procedure di sorveglianza sanitaria nei confronti dei contatti dei pazienti transitati dall’ospedale”, circostanza non vera in quanto il piano di sorveglianza è stato attivato dal 3 marzo 2020; infine per aver detto che “la direzione dell’Ats di Bergamo è stata informata degli eventi occorsi nel presidio nel corso di una riunione indetta dal prefetto di Bergamo nella serata della domenica 23 febbraio” mentre in realtà ne era a conoscenza sin dalla mattina della stessa giornata.

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