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A marzo 2020 le ambulanze attraversano Milano dalla periferia nord fino al quartiere Washington. Destinazione Pio Albergo Trivulzio, la storica casa di riposo milanese. Trasportano una ventina pazienti dimessi dall’ospedale di Sesto San Giovanni, ormai pieno di malati Covid come tutti i nosocomi lombardi.

Tutti senza tampone in quei giorni al Trivulzio. L’emergenza impone di liberare posti letto nei reparti al più presto. Tanto che una delibera della giunta regionale rende possibili i trasferimenti di pazienti dagli ospedali verso altre strutture assistenziali tra cui le Rsa. L’Italia è da poco entrata in lockdown. Dieci giorni dopo, nella casa di cura milanese partono i contagi culminati in una strage. Sono 103 i morti considerati “correlati al Covid-19” dai periti della Procura di Milano, nel periodo che va da gennaio a metà aprile del 2020.

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I pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi, che hanno indagato sulla vicenda, hanno chiesto l’archiviazione lo scorso ottobre. Impossibile, secondo i magistrati, provare il nesso causale tra le condotte dei vertici dell’istituto e le morti degli anziani. Ma nelle carte emerge anche la storia un medico che a tutto questo si oppose, pagando un conto salato. Si tratta del dottor Carlo Montaperto, direttore medico di presidio dell’ospedale di Sesto, all’epoca presidente dei primari lombardi. L’unico dottore che si mise di traverso per cercare di fermare i trasferimenti ricostruendo quei momenti drammatici:

“Da mie disposizioni nessuno doveva uscire dall’ospedale – dichiara il direttore medico in un interrogatorio – poiché nessun paziente era stato testato e quindi non c’era alcuna evidenza della loro negatività al tampone”.

Ma le dimissioni di massa furono avviate ugualmente, ordinate con un messaggio Whatsapp da un altro dirigente ospedaliero.

Non avrei mai potuto autorizzare quei trasferimenti perché si trattava di pazienti non stabilizzati, che non potevano essere trasportati – spiega a L’Espresso il dottor Montaperto -. In seguito mi è stato riferito che la maggior parte di loro, nel giro di una settimana o dieci giorni, sarebbe morta”.

Dopo due mesi per il primario di Sesto cominciano i guai.

Il 20 maggio scopre che è stato aperto un procedimento disciplinare contro di lui. L’azienda per cui lavora lo accusa di una serie di omissioni in relazione all’emergenza Covid. Contestazioni che gli costeranno il licenziamento, da lui ritenuto ingiusto e contro cui si sta opponendo in tutte le sedi. Ora è diventato medico di famiglia in un paesino dell’hinterland milanese in attesa del verdetto dei giudici.

“Sono stato raggiunto da una serie di accuse false e pretestuose come sono convinto riuscirò a dimostrare nei giudizi. Ma era giusto opporsi a quelle dimissioni, e i medici che avevano in cura quei malati erano d’accordo con me. Sulle cartelle cliniche dei loro pazienti hanno scritto ‘Trasferito contro parere medico su ordine del primario’. Fu un episodio drammatico”.

Nella Rsa milanese l’epidemia non è partita all’inizio di marzo, come nel resto della Lombardia, ma verso la fine del mese.

“Si può osservare uno sfasamento di circa 15 giorni tra l’inizio dell’incremento di mortalità nella popolazione milanese generale – scrivono i periti dei pm – e l’incremento dei decessi Covid correlati entro la struttura”.

Gli esperti sottolineano pertanto che “si deve tener conto del trasferimento nella seconda settimana di marzo di 17 pazienti provenienti dall’ospedale di Sesto San Giovanni dichiarati non Covid tre dei quali sono tuttavia risultati successivamente positivi”. Tuttavia le cause dello sfasamento temporale non sono identificabili “con sufficiente precisione e ragionevole certezza”. Per questa ed altre ragioni il fascicolo, che vede indagato l’allora direttore generale Giuseppe Calicchio, secondo gli inquirenti va archiviato.

Per i legali dei famigliari delle vittime “buona parte degli elementi che dimostrano la necessità di celebrare un processo emergono già dalla richiesta di archiviazione. Dalla ritardata chiusura delle visite esterne alla ritardata, omessa, incompleta fornitura di dispositivi di protezione, tracciamento dei contagi e isolamento dei positivi, formazione dei dipendenti”.

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