Covid: i politici sapevano. Ma oggi negano.
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Qualche giorno fa il Tribunale dei ministri ha archiviato le posizioni dell’allora premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro Roberto Speranza in merito ai presunti ritardi nell’attuazione del piano anti-Covid.

“Non è neppure astrattamente ipotizzabile che il Governo, in un determinato giorno e sulla base di determinate informazioni, fosse tenuto ad assumere determinate misure restrittive, trattandosi di una valutazione che al più può essere fatta a posteriori (…).

Covid. Si tratta del passaggio della sentenza che risale al maggio 2021 ma che è diventata pubblica in concomitanza della recente chiusura delle indagini per epidemia colposa della procura di Bergamo.

Paziente 1 e Codogno. Cosa si sapeva?

Intanto la situazione in quei giorni era drammatica. E c’era, inoltre, il Piano segreto che il ministro Speranza voleva tenere riservato, chiamato tecnicamente “Piano nazionale sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19”. Nel piano sono indicati degli scenari che definiscono, in base alla velocità di diffusione del virus, le conseguenze in termini di contagi, malati e occupazione dei posti letto in ospedale. Quali sono gli strumenti indicati per contenere il contagio? C’erano elementi per valutare la loro efficacia?

Il focolaio del distretto di Jiangxi

Il 18 febbraio 2020, ricostruisce Dataroom, c’è la prima versione del Piano. Al suo interno la fotografia di quel che succede in Cina tra il 5 gennaio e il 7 febbraio 2020 nel distretto di Jiangxi. La scatta il matematico-epidemiologo Stefano Merler della Fbk, che sta studiando i dati cinesi da Natale.

Il 5 gennaio c’è il primo caso di Covid di una persona di ritorno da Wuhan, l’epicentro della pandemia; l’8 un altro. La velocità di diffusione del virus, che si misura in quante persone un infetto potenzialmente contagia (Rt), supera la soglia di allarme di “1” l’11 gennaio. Al 12 gennaio i casi accertati di cittadini contagiati ma mai stati a Wuhan e, dunque, che si sono infettati nello Jiangxi sono 6 e 8 in totale.

Il 19 gennaio l’Rt è tra “2 e 3” e i casi si moltiplicano: il 20 gennaio complessivamente sono 18, il 23 gennaio 37. Il 25 gennaio scattano le chiusure. Il 26 gennaio l’ultimo dato in crescita: 44 casi. Poi la curva si inverte. Da quando l’Rt va sopra 1 a quando torna sotto l’1 in seguito al lockdown passano 18 giorni. L’esempio, viene sottolineato nel Piano, serve per “contestualizzare il possibile scenario epidemiologico di tipo 1” ossia l’arrivo del virus in Italia con la presenza di un focolaio locale.

Le misure straordinarie indicate per l’Italia

Siamo al 20 febbraio. Durante il Cts alla presenza del ministro Speranza, viene illustrato il Piano dove c’è scritto:

“Potrebbe essere necessario prendere in considerazione misure di intervento straordinarie (…), come la chiusura delle scuole (reattiva, su base geografica) (…); la quarantena applicata ai nuclei familiari dei casi notificati; la quarantena di aree geografiche in cui la trasmissione di COVID-19 sia fuori controllo; misure di restrizione sulla mobilità”.

Le chat

Alle 7.09 Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità, chatta con un gruppo di funzionari:

“Oggi sarà una giornata impegnativa. C’è un focolaio in Lombardia. Ma fortunatamente c’è un piano di azione”.

Mezz’ora dopo, alle 7.39 l’allora direttore generale della Sanità della Lombardia Luigi Cajazzo scrive ad Alberto Zoli, membro del Cts nonché alla guida dell’Emergenza-Urgenza lombarda:

“Positivi 42 enne con polmonite e moglie del primo malato, donna gravida alla 32 esima settimana”.

Alle 7.43 la risposta di Zoli:

“Ok. Quindi c’è focolaio locale. Si dovrebbe dichiarare il livello 1, ma questo dipende dalla Presidenza del Consiglio”.

Alle 12.51 Zoli scrive a Brusaferro:

“Sta tutto nell’isolamento preventivo OBBLIGATORIO. Quindi scuole chiuse, esercizi pubblici chiusi e tutte le altre disposizioni che hanno adottato i cinesi. Dobbiamo far partire quanto previsto con ORDINANZA al livello 1 del piano illustrato ieri”.

Alle 12.54 l’annuncio di Brusaferro:

“Ministro già firmato ordinanza”. 

A Codogno scatta la Zona Rossa. Commenta Zoli 

“Molto bene, BRAVI”.

l piano, dunque, viene eseguito nei dettagli, e a Codogno si verifica esattamente quel che è successo a Jiangxi.

Il caso Codogno

Lo studio “The impact of non-pharmaceutical interventions on the COVID-19 outbreak in Codogno, Italy dimostra – questo sì a posteriori – che aver seguito il modello cinese è stata un’ottima decisioneL’11 febbraio l’Rt va sopra “1”. Il 14 febbraio 9 casi, il 17 salgono a 20. Tra il 17 e il 20 l’Rt raggiunge il picco massimo a quasi “3“. Venerdì 21 viene decisa la Zona Rossa che scatta formalmente il 23. Il 22 febbraio ultimo giorno di casi in crescita: 36. La curva si inverte. Il 2 marzo sono 16, il 6 marzo 9 e il 12 marzo 3. Anche qui a 18 giorni esatti da quando l’Rt supera l’“1” ritorna sotto l’“3”.

Cosa non succede dopo

Il 28 febbraio alle 20.46 Merler comunica a Regione Lombardia «le prime stime su Bergamo, praticamente identico a quello di Codogno, prima della Zona Rossa. Il riferimento è al focolaio di Alzano Nembro, i due comuni della Val Seriana dove non scatta invece alcuna chiusura. La non-decisione che porterà all’inchiesta della Procura di Bergamo.

Il resto è ormai Storia. Solo i giudici stabiliranno se le scelte politiche, che giocoforza tengono conto anche degli interessi economici come fa presente il Tribunale dei ministri, possono costituire reato. 

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