L’annuncio non arriva da un comunicato ufficiale, ma da un’intervista che sta facendo tremare il tessuto industriale dell’Abruzzo. Jean-Philippe Imparato, responsabile della regione Europa allargata di Stellantis, ha indicato lo stabilimento di Atessa come uno dei siti potenzialmente a rischio chiusura se entro fine anno non ci saranno cambiamenti radicali nei costi energetici italiani e nelle normative europee sull’elettrico. Le sue dichiarazioni, riportate da Il Fatto Quotidiano, hanno scatenato l’allarme tra i sindacati e i lavoratori: lo spettro della dismissione aleggia su uno dei più importanti poli industriali del Mezzogiorno.
A suonare il campanello d’allarme è la Fiom-Cgil di Chieti, che non usa mezzi termini: le parole di Imparato sono “gravi e irresponsabili”. A prendere posizione è il segretario provinciale Alfredo Fegatelli, che denuncia una situazione ormai insostenibile: “Lo stabilimento ex Sevel non è una fabbrica qualsiasi. Produce il 50% dei veicoli commerciali leggeri dell’intera produzione italiana di Stellantis. Parliamo di un sito strategico, non solo per l’azienda, ma per l’intero tessuto economico del centro-sud Italia”.
Una crisi annunciata
Il sito di Atessa è oggi l’unico impianto Stellantis in Italia interamente dedicato alla produzione di veicoli commerciali leggeri, come il celebre Ducato. Ma la sua centralità non basta più a garantire il futuro. Le preoccupazioni crescono di giorno in giorno, alimentate da un lento ma costante processo di svuotamento. “Negli ultimi anni – spiega Fegatelli – siamo passati da oltre 6.000 a meno di 4.900 lavoratori diretti. Con il nuovo piano di esodi incentivati, si rischia di scendere sotto la soglia dei 4.500. Un’emorragia occupazionale devastante”.
A peggiorare il quadro, la situazione dei lavoratori precari, spesso inquadrati tramite agenzie interinali o contratti di staff leasing, che restano ai margini, senza certezze né prospettive. “Molti di loro – sottolinea la Fiom – sono stati già esclusi, senza alcun rinnovo contrattuale. È una riduzione progressiva che rischia di diventare cronica e definitiva”.
L’indotto che affonda
Non è solo l’impianto principale a essere in pericolo. Con Atessa rischia di affondare un’intera filiera: fornitori, trasportatori, aziende di logistica e servizi, tutte già in difficoltà per il calo degli ordinativi e l’instabilità del mercato. “La chiusura dello stabilimento – avverte la Fiom – sarebbe un colpo mortale per l’economia del Sangro-Aventino e dell’intera regione. Migliaia di famiglie verrebbero trascinate nel baratro”.
Nel frattempo, il governo italiano continua a ripetere che “non ci saranno licenziamenti”, ma la realtà che si vive ad Atessa racconta un’altra storia fatta di cassa integrazione, contratti non rinnovati e progressiva desertificazione industriale. “Zero licenziamenti è solo uno slogan – afferma Fegatelli – mentre la vita reale è fatta di incentivi all’uscita, precarietà e ammortizzatori sociali ormai strutturali”.
La Regione assente
Nel mirino della Fiom finisce anche la Regione Abruzzo, accusata di immobilismo e di complicità passiva. “In questi anni – attacca Fegatelli – il governo regionale ha ignorato gli appelli del sindacato, evitando sistematicamente di aprire un confronto serio con i lavoratori e preferendo assecondare le scelte dell’azienda. Il risultato è che il nostro territorio ha perso qualsiasi centralità nelle strategie di Stellantis”.
Per il sindacato è giunto il momento di cambiare rotta. Fegatelli chiede una convocazione urgente del tavolo regionale sull’automotive e pretende che la Regione faccia finalmente chiarezza su cosa intenda fare, ora che le parole di Imparato hanno messo nero su bianco un rischio concreto: la chiusura di Atessa.
Serve un intervento nazionale
A farsi sentire, nei giorni scorsi, era stato anche il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, che aveva già chiesto il coinvolgimento diretto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fegatelli rilancia: “Il tavolo al Mimit non basta più. La vertenza Stellantis deve diventare una questione nazionale, da affrontare con urgenza a Palazzo Chigi. Non si può restare in silenzio mentre un colosso industriale ipotizza la chiusura di uno dei suoi stabilimenti strategici”.
La preoccupazione è che Atessa sia solo il primo tassello di un disegno più ampio, che mira a ridimensionare l’intera presenza industriale italiana del gruppo Stellantis, sacrificandola sull’altare di logiche finanziarie e scelte industriali che guardano altrove. “Il solo fatto che si parli della possibile chiusura di Atessa – insiste Fegatelli – è un segnale gravissimo. Un’intera comunità non può vivere sospesa nell’incertezza. Servono risposte immediate, concrete e trasparenti. Il tempo delle promesse è finito”.
Il peso della transizione ecologica
Dietro le minacce di dismissione si cela una partita più grande, che riguarda l’intero comparto automotive europeo. Stellantis, come altri gruppi, è chiamata a gestire la transizione verso l’elettrico in un contesto di regole ambientali sempre più stringenti e di costi energetici elevati, soprattutto in paesi come l’Italia. Imparato ha fatto chiaramente intendere che, senza un intervento su questi fronti, l’azienda potrebbe riorganizzare la produzione spostandola altrove.
Ma le regole europee non possono diventare il pretesto per smantellare un’eccellenza industriale come quella di Atessa. “La transizione va accompagnata – conclude Fegatelli – con investimenti, tutele occupazionali e un ruolo attivo dello Stato. Non possiamo accettare che i costi del cambiamento ricadano solo sui lavoratori e sui territori”.
Il bivio
Il caso Atessa rappresenta un crinale decisivo per capire da che parte voglia stare il governo Meloni: con le multinazionali che minacciano la chiusura o con le migliaia di lavoratori italiani che ogni giorno tengono in piedi l’industria del Paese?
La risposta, per ora, tarda ad arrivare. Ma il tempo stringe.
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