Una veduta dell’ingresso del Parco Fluviale di Chieti Scalo, con il cancello aperto su cumuli di rifiuti e vegetazione incolta. Il cosiddetto Parco Fluviale del Megalò – una striscia di terreno lungo il fiume Pescara, alle spalle del centro commerciale Megalò – doveva essere inaugurato nel 2005 contestualmente al mall, come opera di compensazione ambientale con piste ciclabili, aree picnic, verde attrezzato e spazi per eventi.
Il Parco Fluviale di Chieti abbandonato: degrado, denunce e promesse mancate. In realtà quel parco non è mai nato né aperto al pubblico, trasformandosi in un’eterna incompiuta segnata da contenziosi legalitra il Comune di Chieti e la società costruttrice (Sirecc) poi fallita, e resa di fatto irrealizzabile dalla collocazione in zona P4 a elevato rischio esondazione. A sedici e più anni dalle promesse iniziali, l’area è rimasta bloccata e versa tuttora in uno stato di totale abbandono, diventando un “simbolo del fallimento della politica, tra vagonate di promesse non mantenute”.
Degrado tra rifiuti, vandalismo e frequentazioni illecite
Fin dai primi anni post-2005, i cittadini hanno denunciato lo stato di degrado crescente nel parco fluviale mai ultimato. Già nel 2013 uno storico locale girò una video-denuncia per mostrare lo “squallore” dell’area dimenticata: un luogo mai inaugurato, privo di cestini, panchine, illuminazione o servizi igienici, soffocato da erbacce e ridotto a discarica abusiva, rifugio ideale per senzatetto e preda di atti vandalici. Le scene documentate erano desolanti: nessun prato curato, solo sterpaglie e immondizia a cielo aperto, laddove doveva sorgere un’oasi naturalistica per la città.
Negli anni l’abbandono ha attirato comportamenti ben peggiori della semplice inciviltà. Complice l’isolamento, il parco fluviale è divenuto una terra di nessuno: un luogo appartato dove si può fare qualsiasi attività illecita, dai ritrovi per consumare droga al degrado estremo. La zona è nota per il via vai di auto che, approfittando del cancello aperto, entravano nella strada sterrata interna a tutte le ore per scaricare rifiuti e cercare intimità lontano da occhi indiscreti.
Non a caso, l’area è diventata meta di incontri a luci rosse
Su internet comparivano persino recensioni che definivano quel posto “fantastico” per appartarsi, grazie al basso traffico di persone e all’elevata privacy offerta dal folto della vegetazione. La cronaca racconta episodi gravi: nel 2021 un minorenne fu attirato lì con l’inganno e violentato in auto, confermando la fama sinistra di questa zona priva di controllo. Durante la pandemia, inoltre, diverse coppie furono sorprese nel parco e multate dalle forze dell’ordine per aver violato il lockdown alla ricerca di intimità in macchina.
Le micro-discariche abusive rappresentano l’aspetto più visibile del degrado. Nel parco – che di verde attrezzato ha solo il nome – si sono accumulati negli anni cumuli di rifiuti di ogni genere: sacchi di immondizia domestica, vecchi indumenti, cassette e imballaggi, ma anche rifiuti ingombranti e pericolosi come lavandini, taniche e bidoni di vernice abbandonati sul terreno. Sotto il vicino ponte delle Fascine l’accumulo di spazzatura è continuato indisturbato, alimentato da cittadini incivili che approfittavano dell’area isolata per evitare la raccolta differenziata. La vegetazione incolta copre ogni cosa, segnalando la totale mancanza di manutenzione del verde pubblico: in molti punti le erbacce “lussureggianti” sommergono quei pochi arredi installati agli inizi, ormai divelti o vandalizzati.
Allarme ambientale: inquinamento e rischi idrogeologici
Parallelamente al degrado visibile, il Parco Fluviale di Chieti Scalo rappresenta anche un caso di emergenza ambientale. L’area fa parte di un Sito di Interesse Regionale (SIR) per la bonifica, a causa della contaminazione del suolo e sottosuolo. Durante i lavori di costruzione di Megalò, i tecnici installarono piezometri e scavarono trincee per analizzare i terreni. Gli studi rilevarono anomalie estese nella composizione del suolo e nella vegetazione circostante, segnalando possibili interramenti illegali di rifiuti pericolosi risalenti ai decenni precedenti. Il WWF locale ha riportato dati allarmanti: nell’area del SIR (circa 30 km² allo Scalo) l’Università d’Annunzio ha rilevato ben 835.000 metri quadrati di terreno con anomalie attribuibili a materiale interrato abusivamente. Di conseguenza, il terreno del parco fluviale non è solo pieno di rifiuti superficiali, ma potenzialmente inquinato in profondità, con implicazioni serie per qualsiasi progetto di recupero ambientale.
Pericolosità idraulica P4 (molto elevata).
In aggiunta, il sito sorge in una zona golenale del fiume Pescara classificata a pericolosità idraulica P4 (molto elevata). Ciò significa che il terreno su cui avrebbe dovuto svilupparsi il parco è destinato naturalmente a raccogliere le acque di piena del fiume e si allaga con facilità persino in caso di piogge non eccezionali. Gli eventi degli ultimi anni lo hanno confermato: durante nubifragi intensi, l’area del parco fluviale finisce puntualmente sommersa dall’acqua, tanto che in passato si è dovuto evacuare e chiudere per sicurezza lo stesso centro commerciale Megalò mentre la zona intorno si allagava.
Il parco progettato, trovandosi all’interno degli argini artificiali costruiti per proteggere Megalò, sarebbe addirittura una “trappola mortale” in caso di piena improvvisa: il grande argine di terra (alto fino a 10 metri) che difende l’area commerciale infatti impedirebbe a chiunque si trovasse nel parco di mettersi in salvo rapidamente. Questa criticità strutturale rende tecnicamente impossibile realizzare in loco un parco pubblico fruibile in sicurezza, come diversi esperti e amministratori hanno dovuto ammettere col senno di poi.
Denunce e pressioni dal territorio
Le condizioni del parco fluviale sono state denunciate a più riprese da cittadini, associazioni e anche da alcuni rappresentanti politici locali. Oltre al già citato video di denuncia civica, nel 2013 l’allora consigliere regionale Camillo D’Alessandro presentò un’interrogazione alla giunta abruzzese, chiedendo conto del perché il parco fluviale – “opera di pubblica utilità” legata a Megalò – fosse rimasto incompiuto e in abbandono. Tale atto, che ricordava anche un’occasione mancata di riqualificazione (la Federazione Ciclistica Italiana aveva offerto di realizzare una pista ciclabile nell’area, senza mai ottenere risposta), è rimasto senza esito concreto.
Il WWF Abruzzo ha seguito da vicino la vicenda: ha denunciato i rischi ambientali legati all’inquinamento e al dissesto idrogeologico e si è opposto con forza a nuovi interventi edilizi nella zona. L’associazione ha ribadito più volte che bisogna lasciare intatta quell’area fluviale e ha chiesto di fermare ogni progetto di espansione commerciale, compresi i contestati Megalò 2 e 3, per evitare di aggravare una situazione già critica. Le denunce pubbliche, riprese dai media locali e nazionali, hanno dipinto il parco fluviale come “una vergogna” e una “terra di nessuno” nel cuore di Chieti Scalo, sollecitando interventi immediati.
Anche sui social media e tramite segnalazioni informali molti residenti hanno espresso indignazione. Sui gruppi e forum locali circolano foto dei cumuli di rifiuti e testimonianze di comportamenti illeciti nell’area, a riprova che la situazione era ben nota nella comunità teatina. Video e post di denuncia, talvolta accompagnati da hashtag come #Chieti e #degrado, hanno contribuito a mantenere accesi i riflettori sul problema, esercitando pressione sull’amministrazione comunale perché prendesse provvedimenti.
Risposte istituzionali: chiusura dell’area e progetti futuri?
Solo di recente le istituzioni hanno messo in campo provvedimenti tangibili, pur se limitati. Nel luglio 2021 – dopo l’ennesimo sopralluogo sul posto con associazioni ambientaliste – il Comune di Chieti ha finalmente disposto la chiusura dell’accesso carrabile al parco fluviale. Su impulso del sindaco Diego Ferrara e degli assessori Chiara Zappalorto (Ambiente) e Stefano Rispoli (Lavori Pubblici), i tecnici comunali hanno installato barriere al cancello d’ingresso per impedire il transito di automobili, nel tentativo di scoraggiare l’abbandono di rifiuti nell’area.
“Negli anni il parco è diventato luogo di discariche abusive di materiali di ogni genere, cosa non più tollerabile” hanno dichiarato gli amministratori, definendo questa chiusura un passo necessario anche se non risolutivo. Si tratta infatti di una misura tampone: “Non sarà una soluzione definitiva, perché l’area rientra nel SIR e la Regione deve ripristinare i fondi per la bonifica”, hanno ammesso sindaco e assessori, assicurando però di voler sollecitare a gran voce tali interventi.
“Contratto di Fiume Pescara”
In parallelo, il Comune di Chieti ha aderito al “Contratto di Fiume Pescara”, un accordo tra enti locali sottoscritto proprio nel 2021 per tutelare e riqualificare il bacino fluviale. Nell’ambito di questo strumento partecipativo, l’amministrazione spera di restituire dignità e vivibilità all’area del parco fluviale, inserendola in una visione più ampia di recupero ambientale del territorio rivierasco. L’idea di fondo sarebbe quella di bonificare i terreni inquinati e mettere in sicurezza la zona, magari destinandola in futuro a parco naturale fruibile in modo compatibile con il rischio esondazioni (ad esempio come semplice area verde di espansione del fiume, con percorsi ciclopedonali modulari e senza strutture fisse). Tuttavia, ogni ipotesi di riqualificazione concreta resta vincolata ai fondi regionali e statali necessari per la bonifica: risorse che in passato erano state stanziate ma non sono mai arrivate a destinazione, complice la complessità burocratica e il fallimento della ditta responsabile.
Sul fronte politico locale, le opinioni divergono.
L’opposizione di centrodestra ha accusato l’amministrazione Ferrara di arrivare tardi e senza idee chiare: l’ex assessore comunale Colantonio (Lega) ha polemicamente ricordato che i siti inquinati dello Scalo erano già mappati da tempo e che “il parco fluviale non si può fare” a causa dei vincoli idrogeologici noti, invitando invece a concentrarsi sulla messa in sicurezza dell’area. Dal canto suo, la giunta comunale ribatte di aver finalmente preso atto della realtà e avviato ciò che per anni era stato ignorato. Ad oggi, l’accesso veicolare rimane interdetto e questo ha almeno limitato nuovi sversamenti di rifiuti; ma l’area, sorvegliata saltuariamente, è comunque aperta e facilmente penetrabile a piedi, e continua a versare in condizioni di incuria.
Verso una (possibile) riqualificazione?
Rilanciare il Parco Fluviale di Chieti Scalo non sarà facile, ma proposte di riqualificazione sono emerse nel tempo. In passato si era ipotizzato di affidare parte della zona a federazioni sportive (come i ciclisti) per creare percorsi attrezzati, oppure di trasformarla in un’oasi naturalistica sotto tutela di enti ambientali, viste le sue caratteristiche fluviali. Recentemente, alcuni cittadini hanno suggerito sui social che l’area – una volta bonificata – potrebbe diventare un parco urbano per lo Scalo, quartiere che soffre la mancanza di spazi verdi.
Si è parlato di realizzare almeno una pista ciclabile lungo l’argine del fiume collegando Chieti Scalo ai comuni vicini, come parte di una greenway di fondo valle (un’idea sostenuta anche da FIAB e altri movimenti per la mobilità sostenibile). Tuttavia, ogni progetto deve fare i conti con la realtà: la necessità di ingenti lavori di bonifica e messa in sicurezza idraulica, senza i quali qualsiasi struttura verrebbe rapidamente sommersa o danneggiata.
Al momento, la destinazione futura del parco fluviale resta incerta.
Le istituzioni locali hanno riconosciuto che il parco, così come immaginato originariamente, “non è mai esistito e mai esisterà” nelle forme promesse. È probabile che si punti a una soluzione alternativa: forse un’area verde “a rischio controllato”, fruibile solo in parte dell’anno o con funzioni limitate (ad esempio un percorso natura privo di infrastrutture permanenti, che possa allagarsi senza causare danni in caso di piena).
Di certo, i cittadini teatini continuano a chiedere interventi concreti per sottrarre questa zona al degrado: dopo anni di attesa, chiedono che le autorità puliscano i rifiuti, mettano in sicurezza l’area e la restituiscano – per quanto possibile – alla collettività. Solo con un impegno concreto delle autorità (comune, regione ed enti ambientali) e il reperimento di fondi ad hoc, il Parco Fluviale di Chieti Scalo potrà avere una nuova vita, trasformando una vergogna urbana in un’opportunità di riscatto ambientale per tutta la comunità
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