Marco Mancini, la spia va in pensione forzata. E si porta dietro i segreti di Stato
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La vicenda dello 007 Marco Mancini si chiude nel modo più prevedibile: dopo 37 anni firmerà per andare in pensione.

Una scelta dettata dalla necessità più che dalla età: a Marco Mancini era stato comunicato, infatti, che avrebbe potuto chiudere la carriera tornando nei carabinieri, con il grado di maresciallo, dove si era arruolato nel 1979. Mancini ha 60 anni. E sperava di finire in un altro modo: con la vice direzione di una delle agenzie di sicurezza, ruolo che è stato a un passo dal ricoprire. Soprattutto negli ultimi mesi del governo Conte quando, anche grazie all’appoggio dell’allora direttore Gennaro Vecchione, era candidato al posto di numero 2 del Dis.

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Il colpo finale è arrivato con l’incontro della vigilia di Natale, in un autogrill fuori Roma, con Matteo Renzi. L’ex premier ha raccontato che era stata soltanto questione di convenevoli. Una versione che ha convinto pochi, non fosse altro che per la delicatezza del momento. Il governo Conte era in bilico. E Renzi l’uomo che lo faceva ballare. Chiamato a rispondere al Copasir, Vecchione non è stato in grado di dare una spiegazione plausibile. E proprio quella sua audizione è stata tra le cause dell’avvicendamento a capo del Dis con Elisabetta Belloni, deciso dal premier Mario Draghi.

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I silenzi di Vecchione hanno lasciato aperti una serie di problemi per Mancini. Il perché dell’incontro. Il perché non avesse fatto alcuna relazione di servizio. E soprattutto come sia stato possibile che qualcuno li avesse registrati. Dell’incontro si è saputo soltanto grazie al video, mandato in onda da Report.

I rapimenti e gli anni bui

Mancini di quegli anni in cui la storia d’Italia appare cupa. A cominciare dalle circostanze mai fino in fondo chiarite del sequestro e liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, durante la quale perderà la vita Nicola Calipari, dirigente come Mancini dell’allora Sismi. Per proseguire con il caso Abu Omar. Per salvare lui e gli altri del Sismi da una condanna, ben quattro governi diversi – Prodi, Berlusconi, Monti e Letta – hanno opposto il segreto di Stato.

Il caso Abu Omar

Un rapimento avvenuto il 17 marzo del 2003. Abu Omar è l’imam della moschea di Milano operato dagli agenti della Cia. Secondo quanto ricostruito dall’allora pm della procura di Milano, Armando Spataro, l’uomo fu rapito dagli americani con la collaborazione dei nostri servizi: del capo dell’allora Sismi, Niccolò Pollari, e di alcuni dei suoi più stretti collaboratori, primo tra tutti Mancini. Nel processo per due volte fu detto che non si poteva procedere contro Mancini e gli altri agenti del Sismi per segreto di Stato.

Poi, dopo una decisione della Cassazione, fu riformulato un processo di Appello dove Mancini fu condannato a nove anni. Sentenza poi annullata, in seguito a un intervento della Consulta, duramente criticato dalla Cassazione, perché “l’azione penale non poteva essere proseguita per l’esistenza del segreto di Stato”. Per questo motivo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo nel 2016 ha condannato l’Italia: “Ha applicato il principio del segreto di Stato in modo improprio, affinché i responsabili del rapimento non dovessero rispondere delle loro azioni”.

SIsmi-Telecom

Il vincolo giuridico salverà Mancini anche in una seconda inchiesta: nel 2009 quando stava per cominciare il processo sui rapporti tra Sismi e Telecom, per cui Mancini era stato arrestato tre anni prima. Il gup lo prosciolse, in parte per non aver commesso il fatto. In parte perché esistevano appunto esigenze di tutelare i segreti di Stato.

La resa di Mancini

Dunque, Marco Mancini si arrende senza condizioni. Esce di scena in maniera elegante. La spia che ha sussurrato all’orecchio della Politica si congeda. Un’uscita che avverrà formalmente a metà luglio con un prepensionamento volontario.

Il 2 giugno scorso il sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale Franco Gabrielli ha accompagnato la spia alla porta.

Figlio legittimo di una classe politica Marco Mancini, al pari dell’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, doveva la sua longevità alle debolezze e alla vanità degli interlocutori che aveva saputo agganciare nel tempo. Alla inconfessabilità dei patti di mutua assistenza.

Sopravvissuta alla riforma dell’Intelligence del 2007, la scuola “Pollari-Mancini” di problemi ne aveva creati molti e altrettanti si era candidata a risolvere. Dando contestualmente straordinaria prova di continuità nell’offerta di informazioni privilegiate ad alto valore aggiunto nello scontro politico.

Si volta pagina? Chissà.
Un pensiero su “Marco Mancini, la spia va in pensione forzata. E si porta dietro i segreti di Stato”
  1. Ma siamo così sicuri che Mancini abbia ingoiato il rospo e che si sia acquetato ? Io ho i Miei dubbi e farebbero meglio anche ( altri ) ad averne. Chi nasce Lupo . . non muore pecora.

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